L’ANNUNCIO A MARIA

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Marie, figlia di un garagista, giocatrice di basket, è fidanzata vergine di un giovane di nome Joseph. Un giorno, in maniera sbrigativa e maldestra, un angelo le annuncia che è incinta, senza che il suo futuro sposo ne sia coinvolto. Joseph si rassegna, continuando ad essere legato a questa bella ragazza che contempla nuda nel suo splendore. Nascerà il piccolo Gesù che diverrà un ragazzino vivace segnato da un sottile complesso di Edipo. Nel 1985, quando uscì nelle sale Je vous salue Marie (versione francese dell’Ave Maria), si scatenò una bufera mediatica contro il regista, Jean Luc Godard, che aveva alle spalle già un’importante produzione cinematografica, nella linea della cosiddetta «nouvelle vague», una corrente sperimentale ricca di adepti prestigiosi, come Resnais, Varda, Truffaut, Chabrol, Rohmer, Malle e così via.

         In realtà, il film, per altro non un capolavoro, ibridato da una vena surreale e ironica, rispettava a suo modo il tema che è capitale nel celebre racconto evangelico dell’Annunciazione (Luca 1,26-38), ossia la concezione verginale del Cristo non da seme umano, ma si proiettava verso soggetti di taglio antropologico generale, come il significato della nascita, della vita e del suo destino, dell’amore. Lo «scandalo» era solleticato dalla carnalità della bellezza senza veli di Maria. Siamo partiti da questo spunto per rievocare una data significativa del calendario non solo liturgico, il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione a Maria, una locuzione nota anche a chi non ha nessuna pratica religiosa, ma che è divenuta una delle scene più care alla storia dell’arte, oltre a pervadere anche la letteratura (si pensi, ad esempio, all’affascinante dramma L’annuncio a Maria che Paul Claudel compose nel 1912 o a certe liriche del Libro d’Ore di Rilke).

         C’è, poi, nel centenario dantesco che stiamo celebrando una memoria simbolica: la nascita della Divina Commedia collocata idealmente proprio in questa data, sorgente del mistero cristiano dell’Incarnazione, data che scandiva anche il capodanno antico di alcune città toscane. È la storia di «una voce modesta», quella dell’angelo Gabriele che «a Nazarette… aperse l’ali», lui «che portò la palma giuso a Maria, quando ’l figliuol di Dio carcar si volle de la nostra salma» (Paradiso XIV, 35; IX,138; XXXII, 112-114). Mentre l’evangelista Matteo si premura di riferirci l’annunciazione a un Giuseppe sconcertato (1,19-25), Luca mette al centro la sua fidanzata-sposa: il fidanzamento nel diritto ebraico antico era il primo atto del matrimonio, per cui si sarebbe configurata per Maria incinta l’accusa di adulterio.

         È noto che la Vergine, pur non essendo taciturna come Giuseppe totalmente silente nei Vangeli, è molto sobria nell’esprimersi: parla solo sei volte per un totale di 154 parole, delle quali ben 102 sono una preghiera, il Magnificat. Nell’Annunciazione pronuncia le sue due prime frasi minimali, anche se impegnative e non prive di una densità tematica: «Come sarà questo, poiché non conosco uomo?... Ecco la serva del Signore; avvenga di me secondo la tua parola», in tutto 17 parole greche, compresi articoli, pronomi, avverbi e preposizioni. Una domanda di razionalità e di senso, all’inizio, una dichiarazione di consapevolezza, alla fine, anche perché quel termine «serva», pur non escludendo un atteggiamento di umiltà (ipocritamente calcato nei secoli a sostegno di una minorità femminile) e di adesione libera all’appello divino, ammicca anche alla titolatura nobile dei «servi del Signore», come erano denominati Abramo, Mosè, Giosuè, Davide, i profeti e persino il Messia.

         Nella mente di tutti, questa scena è stampata con la stupenda immagine del Beato Angelico che dipinse ben sei Annunciazioni a Maria (le più celebri nel convento di S. Marco a Firenze e nella tavola a tempera del Prado di Madrid). Se volessimo, però, arricchire il nostro immaginario, potremmo ora affidarci a due importanti storici dell’arte, come François Boespflug ed Emanuela Fogliadini, che hanno allestito una deliziosa galleria di 32 raffigurazioni, partendo dal mosaico dell’arco trionfale della basilica romana di S. Maria Maggiore (430-440) e procedendo nei secoli fino al 2020 con una sorprendente tempera e olio su legno dell’artista bulgara Julia Stankova che si è aggiudicata anche la copertina del volume.

         Certo, le selezioni comportano sempre esclusioni e opzioni soggettive o comandate dal taglio della raccolta. È proprio quest’ultimo approccio a giustificare i soggetti forse inattesi della sequenza: un’attenzione speciale è riservata all’Oriente cristiano, anche per la competenza bizantina della Fogliadini; lo sguardo è spesso panoramico, così da raggiungere anche il Giappone con una curiosa carta su tessuto del Museo «Shima no Yakata» di Nagasaki, oppure la Bolivia, la Cina, il Benin. E persino si occhieggia al dialogo interreligioso con una miniatura di un manoscritto arabo del XIV secolo, nella consapevolezza dello straordinario rilievo rivestito da Maria nel Corano che a lei dedica un’intera sura, la XIX.

         Così anche chi ha in memoria altre Annunciazioni a lui care e qui non citate (tanto per esemplificare, la personalissima opera di Lorenzo Lotto della Pinacoteca Civica di Recanati), arricchirà il suo patrimonio simbolico con altre inattese epifanie, tenendo conto che i due autori hanno puntato solo all’incontro tra Maria e l’Angelo, astenendosi dalle fasi previe o successive. A questo proposito c’è una domanda che sorge spontanea di fronte a molti dipinti che mettono in scena la Vergine davanti a un libro aperto: Cosa leggeva la Madonna? (si pensi all’emozionante Annunciata di Antonello da Messina nella Galleria Regionale della Sicilia a Palermo). A rispondere al quesito è un docente emerito delle università di Pisa e Firenze, Michele Feo.

         In apertura egli alza il paravento del non essere teologo né credente e, perciò, sottotitola il suo saggio «Quasi un romanzo per immagini». Tuttavia si deve obiettare che, se non è certo necessario essere credenti per studiare l’iconografia religiosa, è però indispensabile possedere una certa attrezzatura teologica qualificata per comprenderla appieno, perché gli artisti respiravano e praticavano la teologia e l’esegesi cristiana in modo spesso fin sofisticato (Dante insegna). Lo stesso professor Feo, in verità, non si rivela digiuno della materia, anche se la ricerca teologica era ed è attualmente molto più complessa e raffinata. Rimangono, comunque, significative la sua importante strumentazione filologica e l’alta competenza contestuale.

         L’imponente sequenza di soggetti proposti (404!) risulta, quindi, preziosa e fin attraente e, in particolare, le scoperte sulle letture attribuite a Maria sono talora sorprendenti con passi biblici e liturgici, spesso autobiografici (ad esempio, il successivo Magnificat, già copiato sul codice aperto davanti alla Vergine). Un apparato iconografico finale illustra i principali soggetti coinvolti a partire da San Marco a Venezia fino a un Mantegna poco noto della Pinacoteca di Ferrara. Curioso è il suggello del volume ove l’autore fa propria una dolce professione di fede mariana che Andrea del Sarto dice di portare nel cuore e scrive sul fianco del leggio dell’Annunciazione di Palazzo Pitti a Firenze. Feo s’associa con questa sua personale «professione»: «Le parole [di Andrea] dicono in tutta semplicità quanto amore e quanta devozione i pittori hanno versato nella rappresentazione del loro eterno femminino cristiano, e noi che pittori non siamo le facciamo nostre».

GIANFRANCO RAVASI

François Boespflug, Emanuela Fogliadini, L’Annunciazione a Maria nell’arte d’Oriente e d’Occidente, Jaca Book, Milano, pagg. 165, € 20,00.

Michele Feo, Cosa leggeva la Madonna?, Polistampa, Firenze, pagg. 299, € 20,00.