LA VOCE DELLE DONNE

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Paul Valéry nel suo saggio Littérature dichiarava: «I libri hanno gli stessi nemici dell’uomo: il fuoco, l’umidità, le bestie, il tempo e il loro stesso contenuto». Io aggiungerei anche il “peso”, al punto tale da tendere al massimo le solette degli appartamenti quando i volumi s’accumulano sugli scaffali, spesso in doppia fila. Ebbene, proprio in una seconda e ormai polverosa fila posteriore di libri della mia biblioteca ho scoperto – ormai del tutto dimenticato – un testo curioso. Il titolo era chiaro, Ave Maria in 404 lingue: le 416 pagine erano incorniciate da motivi floreali e al centro, quasi come su una lapide, spiccava il testo della più amata e popolare preghiera mariana, tradotta nelle lingue più diverse dei cinque continenti, anche le più remote, nelle grafie più strane e incomprensibili.

A pubblicare il volume nel 1931 a Milano era stato l’Ordine Equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme che, con quello di Malta, è uno dei due Ordini cavallereschi riconosciuti dalla S. Sede e ancor oggi molto attivo. Abbiamo voluto evocare questa curiosità perché altro non è che una piccola tessera colorata di quel mosaico imponente che è la letteratura, l’arte, la musica, la liturgia, la devozione, insomma, la tradizione secolare mariana. Non per nulla nella copertina del libro citato campeggiava anche la frase emblematica Beatam me dicent omnes generationes, versione latina di un verso del cantico di Maria, madre di Cristo, il celebre Magnificat. Ebbene, a partire dal Settecento, nei paesi di cultura latina maggio diverrà a livello popolare il mese mariano per eccellenza: al suo interno, tra l’altro, nella data del 13 s’incastonerà la memoria della prima apparizione di Fatima, uno dei più famosi santuari mariani.

Si deve, comunque, riconoscere che la figura di Maria di Nazaret nel mondo cattolico ha un rilievo tale da esorcizzare molte delle accuse di maschilismo patriarcale, pur riconoscendo che non di rado la sua eccessiva riduzione a vessillo e a simbolo celeste, etereo e mistico, ha potuto creare un effetto opposto. Sulla scia di questa devozione – che esige rilievi non solo psico-sociologici ma anche teologici (si pensi al tema delle “apparizioni” mariane, prolifiche anche in epoca contemporanea: come non citare le “visioni” di Medjugorie?) – vorremmo invece riproporre il tema reiterato e talora persino abusato della femminilità nella Chiesa.

Un motivo che spesso trascina con sé polemiche anche tra le stesse donne credenti, perché alcune di esse si sentono più donne e più cattoliche delle altre. Il nostro rimando, tra i vari saggi apparsi in questi ultimi tempi, va a un volume collettivo che dà voce (come si afferma già nel titolo) a 17 donne interpellate da una giornalista, Sabina Caligiani, nelle diverse sedi delle loro attività e secondo le differenze dei loro statuti di religiose o laiche, di spose e madri, di accademiche e lavoratrici. Ne è risultato un fitto dialogo in cui le “voci” appunto hanno timbri molto variegati, sensibilità eterogenee ma un filo sotteso colorato e accalorato che rende l’“ascolto” del lettore molto facilitato. Anzi, in alcuni casi si è persino coinvolti come in una narrazione.

Talvolta le metafore possono sembrare ardite allo sguardo malizioso del maschio. Infatti, si parla persino di «mammelle di Gesù», un’immagine già presente nel Medioevo negli scritti di una straordinaria mistica inglese, Giuliana di Norwich, affascinata da un Cristo tutto al femminile. Anzi, c’è di più, come racconta una teologa, che è anche suora, riguardo a s. Chiara d’Assisi: «In un sogno/visione le appare Francesco in cima a una scala. Raggiunto sulla sommità da Chiara, Francesco la invita a nutrirsi dal suo seno. Quando Chiara si stacca, le rimane in bocca un capezzolo d’oro». Immagine molto ardita di reciprocità, come lo è quella di un’altra teologa, questa volta laica, convinta che «la teologia cominci dai piedi» che camminano accanto a quelli dei Sinti e dei Rom tra i quali lei ha vissuto e operato, e si inoltrano lungo i campi minati simbolici delle discussioni sul gender, sulle nuove forme di genitorialità, sulle realtà affettive di varia sessualità.

Ovviamente l’interesse dell’“ascolto” di queste 17 voci femminili va ben oltre l’ardore delle immagini e delle attese più o meno frustrate e dispiega l’intero arco delle questioni aperte ecclesiali, sociali e culturali. Esse sono affrontate, certo, con piglio deciso e con punte di critica severa, ma non sono mai trasformate in litanie di querimonie o in sfide paleo-femministe, come è talora accaduto, contro la classe sacerdotale, che pure in queste pagine non è lasciata riposare nei suoi sonni sacrali. A questo proposito è divertente l’interrogazione di una di esse, sociologa dei processi culturali: «Se Gesù, invece di Pietro e degli altri, avesse portato con sé a veglia la Madre e la Maddalena, queste ultime si sarebbero addormentate come gli apostoli, lasciando solo Gesù in quell’ora di passione nel Getsemani?».

Impressionante è anche il palinsesto di letture che rivelano queste donne: esse intrecciano nelle loro risposte altre voci di grande potenza o di estrema finezza intellettuale e umana che sarebbe troppo lungo elencare. Cito solo a caso una sequenza delle citazioni femminili (ci sono anche quelle maschili) in cui mi sono imbattuto in uno dei dialoghi: Irigaray, Arendt, Beauvoir, Weil, Stein, Zambrano e persino Judith Butler o Donna Haraway, la studiosa americana che esorta le donne a uscire dalle “parti” a loro assegnate per recitarne di inedite fino al cyborg e al travestimento. L’originalità che spesso queste intervistate manifestano e che le distinguono per molti versi dai compagni maschi è, a nostro avviso, quella di stare – come dice una di esse di professione filosofa – «senza ringhiera, tra ragione e passione», libera rielaborazione di una metafora di Hannah Arendt.

Saper incrociare il rigore del pensiero col turgore dell’intuizione e dell’amore rende la conoscenza e, quindi, l’azione più feconde. L’autentica religione, per altro, suppone questo salto oltre la ringhiera, col rischio del vuoto ma anche dell’abbraccio, della voragine di tenebra ma pure dell’abisso di luce. Tante altre sono, comunque, le sollecitazioni alle quali sono sottoposte lettrici e lettori (dovremmo continuare a dire ascoltatrici e ascoltatori, per stare nella logica del titolo), soprattutto nell’orizzonte della Chiesa, ma con ampi echi nel mondo dell’attuale politica, società e cultura così grettamente arroccate in mascoline e meschine autodifese o reattività istintuali. Il simbolo spesso evocato della “voce” invita, allora, la Chiesa non solo a parlare delle donne e alle donne ma soprattutto a lasciar parlare le donne. Non, però, per permettere loro uno sfogo placante e liberatorio, bensì per renderle presenze dotate di autorità e autorevolezza, di responsabilità e potestà, di credito e influenza.

Non avendo mai citato nessun nome e per evitare che appartengano al solito anonimato generico a loro riservato nella Chiesa (ma non solo), in appendice elenchiamo i loro nominativi nell’ordine dei loro interventi: Cettina Militello, laica teologa; Adriana Valerio, storica e teologa; Marinella Perroni, laica biblista; Cristina Simonelli, laica teologa; Serena Noceti, laica teologa; Mary Melone, religiosa teologa; Marcella Farina, religiosa teologa; Laura C. Paladino, storica e letterata; Angela Ales Bello, filosofa; Francesca Brezzi, filosofa; Cecilia Costa, sociologa; Yvonne Dohna Schlobitten, storica dell’arte; Cristina Mandosi, giornalista e critica d’arte; Elena Bosetti, religiosa biblista; Maria Letizia Panzetti e Beatrice Salvioni, religiose e attive nei media; Caterina Ruggiu, giornalista e scrittrice.

GIANFRANCO RAVASI

Sabina Caligiani, La voce delle donne. Pluralità e differenza nel cuore della Chiesa, Paoline, Milano, pagg. 221, € 17,00.

Pubblicato col titolo: Vita, volti e pensieri di madri della Chiesa, su IlSole24ORE, n. 143 (26/05/2019).