PRONZATO, UN PRETE CON LA PENNA

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Nel 2015 papa Francesco, in visita pastorale a Cuba, incontrava Fidel Castro, malandato in salute, quasi novantenne (morirà un anno dopo, nel novembre 2016). Desideroso di parlare direttamente col pontefice, aveva espresso in precedenza la curiosità di leggere qualche testo di soggetto religioso. Durante la visita il papa gli offrì due libri: Vangeli scomodi, pubblicato per la prima volta nel 1967 e riedito decine di volte (io stesso fui invitato a scriverne una prefazione nel 2007, nel quarantesimo della prima edizione), e La nostra bocca si aprì al sorriso, il titolo era una citazione del Salmo 126,2, il canto degli ebrei che rientravano dal lungo esilio di Babilonia al focolare nazionale, dal quale erano stati deportati nel 586 a.C. in seguito alla distruzione di Gerusalemme ad opera del re Nabucodonosor.

         La sorpresa per i giornalisti e gli osservatori si era in quell’occasione concentrata sull’autore a molti ignoto, un sacerdote piemontese residente in Svizzera, Alessandro Pronzato. Egli, in verità, era uno di quei fenomeni della letteratura minore, dall’immensa produzione e diffusione, spesso veri e propri best seller, ignorati dalle classifiche anche perché affidati a reti parallele di distribuzione e rivolti a un pubblico estraneo e sotterraneo rispetto ai destinatari dell’editoria maggiore. Tanto per esemplificare, pensiamo al mondo delle religiose: una parte dei 170 libri scritti da don Sandro mirava proprio a loro, tant’è vero che egli era stato definito il «suorologo» per eccellenza. In realtà, la sua figura e le sue pagine avrebbero meritato un’attenzione non solo sociologica come particolare fenomeno di produzione spirituale.

         Infatti, Pronzato, nato a  Rivalba nel 1932 e morto nel Canton Ticino nel 2018, ha incrociato e dialogato con tutti i personaggi creativi dell’orizzonte ecclesiale italiano, da p. Turoldo a p. Balducci, da don Divo Barsotti a don Cesare Angelini, da p. Fabbretti a don Bedeschi, fino a Enzo Bianchi e così via. Religiosi contrassegnati da una caratteristica che, in forma abusata, potremmo definire «profetica», ma che, in modo più incisivo, dovremmo chiamare – come ha scritto papa Francesco in una dedica destinata proprio a Pronzato – «seminatori di inquietudine». Naturalmente si tratta dell’inquietudine agostiniana (l’inquietum cor nostrum delle Confessioni) che è l’autentica tranquillità delle anime grandi.

         Tutti questi personaggi sono stati talora una spina nel fianco di una certa Chiesa talora sonnolente o incline al compromesso col potere; le loro provocazioni erano certamente roventi e radicali, ma feconde, libere e generose, sorrette da una fede genuina. A ricostruire l’«avventura» di Pronzato non in modo biografico convenzionale ma convocandolo sulla ribalta con la sua stessa parola è stato mons. Leonardo Sapienza. Il paradosso è che egli appartiene per ufficio a una delle istituzioni curiali più alte: è, infatti, il Reggente della Prefettura della Casa Pontificia, come recita il suo titolo ufficiale, ed è quell’ecclesiastico che tutti vedono alla destra di Francesco durante le udienze pubbliche papali. Eppure è una persona che, con una punta di ironia, potremmo dire capace di onorare il suo invidiabile cognome: infatti, con saggezza ha fatto emergere anche agli occhi del papa figure come don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, mons. Tonino Bello e appunto don Pronzato. E questo è stato fatto sempre con discrezione e finezza.

         Il libro che ora egli dedica al «prete con la penna», si compone quasi a trittico, le cui tavole sono però dominate sempre dalla parola di don Sandro o dei suoi interlocutori. Innanzitutto entra in scena il carteggio-dialogo con l’editore Piero Gribaudi, scomparso lo scorso anno, fondatore dell’omonima casa editrice torinese, prima, e ora milanese. A lui Pronzato rimase sempre fedele, nonostante gli inviti esterni, anche perché – come appare dal ricco epistolario – la loro era un’amicizia profonda, umana, culturale, ecclesiale. Le lettere talora affondano nel quotidiano (c’è persino il cane Klaus…), altre volte s’inerpicano sui sentieri d’altura della spiritualità, esprimono giudizi in sincerità assoluta, incrociano le lame della dialettica, rivelano il calore della sintonia, fremono per le resistenze e le incomprensioni nella Chiesa. Solo un frammento può bastare per avere un ritratto di don Sandro quando Gribaudi, al termine di una missiva del 1976, gli scrive: «La tua ingenuità ti salva. La tua semplicità, che pure ti frega, è la tua forza. La tua libertà può essere, deve essere, il respiro di molti. Ho detto!».

         A occupare la seconda parte della trilogia è la presenza degli «amici scrittori». Sfila, così, p. Turoldo con un rapporto intenso che non ha escluso la libertà sincera di un battibecco, considerando il turgore intellettuale e passionale dei due interlocutori. C’è un ampio spazio riservato allo scrittore Luigi Santucci, scoperto dall’allora seminarista Pronzato in una lettura non autorizzata. A lui il romanziere – che sarebbe divenuto l’amico di una vita anche nella convivialità (fu anche la mia occasione per incontrare don Sandro) – rispondeva esprimendogli la sua fiducia «nell’avvenire della Chiesa, per il fatto che in seminario ci fosse una colonna eretica…, lusingato di poter annoverare tra i suoi lettori anche un chierico spericolato con una spiccata vocazione a cercarsi guai».

         In scena compaiono, poi, p. Camillo de Piaz, confratello di Turoldo, il francescano giornalista Nazareno Fabbretti, il sacerdote scrittore Luisito Bianchi e persino Dino Buzzati e Indro Montanelli, entrambi con lettere sorprendenti, e, in modo indiretto attraverso i suoi libri, Giovanni Guareschi. Ma la più importante è la terza anta del trittico quando si sviluppa il confronto con la Chiesa di quegli anni post-conciliari con le loro attese e le delusioni, la passione amorosa e la critica («parlo perché amo»). Con coraggio mons. Sapienza ricompone questo arco dai colori accesi attraverso una ricca e spesso ardente documentazione, con un picco molto significativo nella polemica seguita a due articoli di don Pronzato apparsi sul «Corriere del Ticino» nel 2007, che videro il coinvolgimento persino della Nunziatura vaticana a Berna.

         Il quadro ecclesiale generale è popolato dai vari attori e protagonisti di quel periodo, dall’amato Paolo VI a Giovanni Paolo II, dai cardinali Biffi, Ruini e Martini, fino ai vari politici e alla comunità ecclesiale, spesso segnata da «un allineamento generale e poche voci fuori del coro», tra le quali appunto la sua. Egli palesemente era alieno a un cattolicesimo «muscolare», anzi, ribadiva la necessità di un «sano e persino santo anticlericalismo, quale espressione di autentico amore per la Chiesa». È ciò che traspare nelle ultime testimonianze del libro, ove don Sandro si congeda anche dalla vita terrena con la convinzione che tutti i suoi libri – dal primo apparso nel 1965 col titolo emblematico Le frontiere della misericordia, fino al postumo (2019) Il prete e la gioia – siano stati «una scarnificante confessione in pubblico». Dal suo pulpito di carta egli ha sempre testimoniato quello che gli consigliava un noto autore e amico francese, Jean Sulivan, morto nel 1980: «Una verità non riscaldata dal cuore è una verità tradita». Tanti altri, confessava Pronzato in quel testamento, «mettono le parole giuste alla fine, per recintare i cortili e starsene al sicuro. Noi mettiamo le parole come punto di partenza».

GIANFRANCO RAVASI

Leonardo Sapienza, Prete con la penna, Gribaudi, Milano, pagg. 157, € 13,00.

Pubblicato col titolo: I libri di don Sandro regalati a Fidel Castro, su IlSole24ORE, n. 169 (21/06/2020).