Le immagini che resteranno
Quando un evento tragico e improvviso come l’11 settembre sconvolse il mondo, in tanti si chiesero chi fosse maggiormente accreditato a raccontare e a rappresentarne la sua verità profonda. La risposta di esperti di cultura visiva, curatori, photo editor, giornalisti, fu semplice: nessuno in particolare ma tutti in ugual misura. Perché tutti avevano vissuto quell’esperienza nello stesso modo, nessuno meglio e nessuno peggio, vittime attonite di qualcosa di inaspettato. E chi aveva registrato un aspetto personale della tragedia con la macchina fotografica e conservato così il ricordo, archiviato il documento di quel che era successo, era di fatto uno dei possibili testimoni oculare degni di fede di quel giorno e dei giorni immediatamente seguenti.
La tragedia del Covid 19 ha degli aspetti simili: tutti siamo stati travolti da qualcosa di inaspettato, tutti ne siamo stati vittime, tutti abbiamo patito in ugual misura perché a tutti, o quasi, è stato chiesto lo stesso sacrificio: confinarsi per mesi lontano dagli altri, dai nostri affetti e dalla nostra vita.
Ma contrariamente all’11 settembre, ora noi non abbiamo l’immagine unica di un evento deflagrante da ricordare (e magari su cui interrogarci l’un l’altro: “dove eri tu in quel momento?”), perché l’esperienza di questa pandemia è individuale e si frantuma nei ricordi e nelle visioni di ognuno, attraverso le nuove consuetudini acquisite in questi mesi, nei piccoli e grandi drammi che l’hanno costellata. Questa volta non abbiamo visto il nemico in azione, ne abbiamo solo constato le conseguenze e cercato di schivarne l’attacco e al contrario di quel che accade in guerra, le città dopo il suo passaggio erano vuote e deserte ma intatte, integre. Anche più belle. L’immaginario catastrofico, questa volta, si è stemperato in tante figure, in molte voci e testimonianze di quel che abbiamo vissuto e imparato.
La pima immagine che per me resterà di questi mesi è quella di una strana guerra con un nemico insidioso, impalpabile di cui non sapevamo nulla. Abbiamo subito imparato a conoscere, e a riconoscere, la divisa del combattente: come negli antichi tornei, è un’armatura che nasconde gli occhi, la bocca e isola il corpo da ogni possibile agente esterno; incute timore, avvolta nel fumo simbolico di un nemico invisibile.