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Un bene culturale da riscoprire in tempi di pandemia?

La “pinza eucaristica”

Mons. Fabrizio Capanni

Il graduale avvio delle celebrazioni liturgiche con il popolo, interrotte dalla pandemia da coronavirus, avverrà con necessarie restrizioni e precauzioni, riguardanti anche azioni quotidiane, quali la distribuzione dell’Eucaristia dentro e fuori la Messa. In aiuto a ciò, da più parti di ipotizza la reintroduzione di alcuni oggetti da tempo non più in uso, quali la cannuccia, il cucchiaino e la pinza eucaristica.

Nella prima “edizione tipica” (1969-1970), dopo la riforma del Concilio Vaticano II, della Introduzione Generale al Messale Romano (IGMR), nella descrizione della comunione dei sacerdoti celebranti (nn. 200, 202-203) e della comunione al popolo sotto le due specie, laddove lo si ritenga opportuno (nn. 243, 248-252), per la distribuzione del Sangue di Cristo era previsto in modo facoltativo l’ausilio di una cannuccia (calamus) o di un cucchiaino (cochlear). Questi oggetti sono spariti nell’ultima edizione tipica dell’IGMR del 2002[1], a testimonianza del loro scarso successo. Queste suppellettili fecero la loro comparsa in epoca altomedievale, quando ancora era in uso la comunione sotto le due specie per tutti i fedeli (che perdurerà fin verso il XIII secolo) e di conseguenza era forte la preoccupazione di impedire il versamento accidentale del Sangue del Signore. Il loro uso è comunque ben documentato, almeno sino alla riforma tridentina, nei libri liturgici così come nelle testimonianze materiali dei “tesori” di molte cattedrali (si trattava di oggetti d’oro o d’argento, spesso cesellati e tempestati di gemme), per poi andare in disuso (nella Messa pontificale tridentina si conservò il cucchiaino per mescolare l’acqua al vino). Presso le Chiese orientali, invece, il cucchiaino è tutt’ora in uso per la comunione ai fedeli.

Fa parte di questo gruppo di oggetti anche la cosiddetta “pinza eucaristica” (in latino: forceps, furcheta, tenacula). Non ne sono giunti fino a noi esemplari antichi, ma in compenso ne parlano le fonti tardo medievali, in cui l’oggetto è descritto come strumento per garantire il dovuto rispetto nel manipolare il Corpo del Signore, come corrispettivo della cannuccia per il Sangue[2]. Ad esempio, in alcuni inventari della cattedrale di Praga della seconda metà del XIV secolo sono ricordate “pinze d’argento (forcipes binae argenteae) con cui l’arcivescovo porge il Corpo del Signore ai comunicandi”[3]; nello stesso periodo, anche negli inventari papali avignonesi sono ampiamente menzionate “tenacula de argento” o “forcipes auri[4] per trasferire le ostie dalla patena alla pisside durante le solenni liturgia papali, come è confermato dal “Cerimoniale” del Vescovo Pietro Amelio (1375-1386), che descrive la messa papale di quel periodo[5].

Pare che tutti questi oggetti siano stati utilizzati anche per portare la comunione ai malati. Una miniatura dello “Heidelberger Bilderkatechismus” (1450-1463) che illustra l’amministrazione del “Viatico”, mostra un sacerdote che somministra il Sangue di Cristo con una cannuccia a un malato giacente nel letto[6].

Un documento iconografico più vicino a noi è il dipinto di Pietro Paolo Caruana (1749-1852), Assisting the plague stricken (olio su tela, cm 106x63, National Museum of Fine Arts, La Valletta, Malta, Depositi), che mostra un sacerdote nell’atto di amministrare la Santa Comunione ad un’appestata durante la pestilenza scoppiata a Malta fra l’aprile 1813 e il gennaio 1814, usando un paio di pinze lunghe 40 o 50 cm simile a una sottile molla presumibilmente di metallo prezioso[7] (è certamente da evitare la modalità di comunicare direttamente nella bocca il fedele). Rohault De Fleury pubblica un oggetto del XII secolo, questa volta simile a una forbice, identificato con una pinza eucaristica per via del ritrovamento fra le rovine di una chiesa di Poitiers e dagli elementi iconografici nelle palette: un giglio e una chiesa posata su un pesce; per motivi storici se ne ipotizza l’uso per la distribuzione della Comunione ai lebbrosi, altra categoria di malati contagiosi molto temuti in passato[8].

La nostra ricerca è stata confortata anche dal ritrovamento di vari oggetti inventariati come “pinze liturgiche” nel catalogo BEWEB della Conferenza Episcopale Italiana, che mette in rete il frutto della catalogazione dei beni culturali delle diocesi italiane[9]. In esso sono reperibili almeno 13 oggetti di questo tipo piuttosto recenti (il più antico è del XVIII secoli, gli altri della seconda metà del XIX e del XX secolo) e variamente localizzati dal Piemonte al Veneto, dalla Toscana alla Campania, Calabria e Sicilia. Hanno tutti forma di piccole molle – sono lunghe una decina di centimetri –, con le estremità arrotondate e piatte per poter afferrare bene la particola, di metallo prezioso – argento o argento dorato –, senza particolari elementi iconografici, la cui presenza nei tesori di cattedrali fa supporre una finalità cerimoniale. Qui mostriamo un esemplare conservato nella cattedrale di Piazza Armerina in Sicilia.

Mentre mi pare problematico soprattutto nelle attuali circostanze l’utilizzo di cannuccia e cucchiaino, mi sembra invece plausibile tornare a servirsi della pinza eucaristica per evitare la manipolazione diretta dell’Eucaristica nelle specie del pane, sia nella traslazione da un vaso sacro all’altro sia nel porgerla nella mani dei concelebranti, dei ministri e dei fedeli.

In conclusione, difronte a sfide nuove (che poi del tutto nuove non sono), per risolvere un problema pratico, oltre a inventare soluzioni originali, la Chiesa può sempre attingere al patrimonio dei propri beni culturali ecclesiastici. Si realizzerebbe in questo modo il detto evangelico del buon “padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Matteo 13, 52).

Fabrizio Capanni

Pontificio Consiglio della Cultura

[1] M. Barba, Institutio Generali Missalis Romani. Textus, Synopsis, Variationes, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2006, pp. 552-555, 576-577, 582-585.

[2] M. Di Berardo, s.v. Utensili liturgici, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, XI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, pp. 450-465, part. 456; B. Montevecchi; S. Vasco Rocca (a cura di), Suppellettile ecclesiastica I, Firenze, Centro Di, 1987, (Dizionari terminologici, 4), p. 146.

[3] J. Braun, Das christliche Altargerät in seinem Sein in seirer Entwicklung, München, Max Hüber Verlag, 1932, p. 265 (per le fonti).

[4] H. Hoberg (a caura di), Die Inventare des päpstlichen Schatzes in Avignon: 1314 – 1376, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1944 (Studi e testi, 111), pp. 22, 36, 215, 374, 475.

[5] Petrus Amelius, Ordo Romanus XV, vel Liber De Caeremoniis Sanctae Romanae Ecclesiae Auctore Petro Amelio, Ep. Senegalliensi, in PL LXXVIII, col. 1332A.

[6] Universitätsbibliothek Heidelberg, Cod. Pal. germ. 438, f. 079r

[7] Nel seguente articolo on line è possibile vedere le opere citate ed altre: https://www.liturgicalartsjournal.com/2020/04/eucharistic-utensils.html?fbclid=IwAR3SsM2Ke8BkaK7AQERmnVJ1_n89tkLYvcVPzaqjevXcDTbGzOmZvJdRqTY

[8] C. Rohault De Fleury, La Messe. Etudes archéologiques sur ses monuments, IV, Paris, Librairie des Imprimeries Réunies, 1896, pp. 188-189 e tav. CCCXXXIX.

[9] https://beweb.chiesacattolica.it/

L'articolo è apparso su Cultura e Fede Vol. XXVIII 2020 No.2 (pp. 183-185)

 

Una versione contemporanea di pinza eucaristica in argento (Accipite) che attinge al patrimonio storico e culturale della Chiesa, è stata presentata e donata al Cardinale Gianfranco Ravasi il 1° ottobre 2020 dagli ideatori, gli architetti Andrea Marcuccetti e Tino Grisi, da anni impegnati nella progettazione e nel design liturgico. La sua forma offre la possibilità basica di ripetere e sostenere l’essenzialità dei gesti sacramentali e rassicura l’assemblea con un’impressione di tutela.


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