Spesso si dice che l'opinione pubblica è indignata. E magari è anche vero: al mattino. Alla i sera siamo tutti a guardare la partita!». Così Montanelli una ventina d'anni fa. Le cose non sono cambiate di molto anche in questi giorni nei quali il termine "indignados" alla spagnola è un must. Già in passato molti an-tropologi vedevano negli sport popolari una catarsi degli istinti aggressivi innati, per cui in essi si avrebbe quasi una variante meno offensiva della guerra.

In realtà, si è visto che spesso gli istinti nello sport non si sublimano ma si eccitano e sfociano in vere e proprie violenze e assalti con morti e feriti. Ho letto qualche tempo fa che nel 1969 due Stati centro-americani, l'Honduras e il Salvador, furono sull'orlo di un conflitto bellico a causa dell'esito contestato di una partita di calcio! La degenerazione dello sport ha oggi una lunga lista di altre sindromi come la corruzione, le scommesse, i giri d'affari, gli anabolizzanti, gli steroidi, le droghe e così via.

EPPURE LA MATRICE del fenomeno sportivo -che il filosofo Max Scheler considerava come uno dei più rilevanti, per la sua incidenza sociale e psicologica, dell'età contemporanea - ha nei suoi cromosomi padri e madri nobili. Nella classicità grecoromana Io sport faceva parte della paideia, cioè della formazione-educazione della persona, capace com'era di creare euritmia tra corpo e anima, Tutti, infatti, citano il famoso motto mens sana in corpore sano che, però, nel suo inventore, Giovenale, aveva un altro valore curiosamente più "teologico": la frase completa affermava che «bisogna chiedere alla divinità il dono di un'anima forte e di un fisico robusto» per affrontare le avversità della vita e la stessa morte.

Lo sport nell'antichità accompagnava la storia di un popolo: pensiamo ai giochi panellenici, alle Olimpiadi che vedevano in causa poeti come Pindaro, c'erano persine i giochi funebri cantati da Omero. Corsa, lotta, ginnastica, pancrazio, pentathlon, corse di carri e cavalli e cosi via ci affascinano ancora oggi nelle pitture vascolari, così come tutti ricordano il celebre "discobolo" di Mirone, La stessa Bibbia, che è l'altro grande codice della nostra cultura, pur nutrendo riserve sullo sport pagano, usa la metafora del gioco per rappresentare il Dio creatore (Proverbi 8,30-31), ima via seguita da alcuni teologi importanti dei secolo scorso, e san Paolo non nasconde la sua passione per la corsa e il pugilato: «Io corro, ma non come uno che è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria..." (1 Corinzi 9,26). Nella tradizione popolare cristiana si è giunti fino al punto dì collocare in una vetrata della cattedrale anglicana di New York, la St. John the Divine, i giocatori di una partita di pallacanestro e altri atleti.

!N QUESTA LINEA ho recentemente pensato di introdurre nel dicastero vaticano della cultura che dirigo un dipartimento esplicitamente dedicato allo sport. In questa attività si celano, infatti, categorie umane capitali come la corporeità, il gioco, i! tempo libero, la dinamicità, la festa, l'esercizio severo fisico che si trasforma in abitudine spontanea e così via, Indispensabile - e purtroppo disattesa - è la formazione dell'educatore sportivo: spesso un allenatore vive a contatto dei ragazzi più dei genitori e degli insegnanti, talora con rischi gravi di incidenza negativa, non di rado in ambito sessuale (ad esempio, la pedofilia).

Il gioco nella classicità era connesso anche al sacro, ora la secolarizzazione ha ridotto lo sport a rito di massa "laico", a tifo, privo di ogni segno di creatività, di interiorità, di armonia, cancellando la possibilità di spazi esterni allo sport, come il culto, la lettura, la riflessione, la vita in famiglia. Sbrigativo ma pungente come sempre, Karl Kraus ammoniva: «Lo sport è figlio della democrazia ma contribuisce all'istupidimento del singolo e della famiglia». Contro una simile deriva è possibile, comunque, introdurre vaccini che risanino ed esaltino questa sorta di "esperanto" dell'umanità che è lo sport.

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5 luglio 2012 | L’espresso, p. 15