ALFA E OMEGA

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Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omega,  Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!  (Apocalisse  1,8)

 


         L’Apocalisse può essere concepita come una grande cattedrale letteraria e spirituale: l’immagine è dello scrittore francese Paul Claudel che negli anni 1928-32 aveva composto un testo intitolandolo Au milieu des vitraux de l’Apocalypse, ossia «in mezzo alle vetrate dell’Apocalisse». Egli affermava che «i significati di quest’opera si schiudono davanti a noi e si rinnovano di èra in èra, come gli archi e le vetrate di una cattedrale». Il lettore-pellegrino «è condotto, così, all’interno di un paradiso di segni». Ebbene, nel primo capitolo dell’Apocalisse noi varchiamo la soglia di questo tempio.

         Là è riunita un’assemblea liturgica: molti commentatori pensano, infatti, che questo sia il luogo primario a cui è stata destinata l’opera che, tra l’altro, oltre ad essere tutta costellata di immagini e simboli, come sulle pareti di una cattedrale, è scandita dagli interventi di un coro, di un’orchestra e di varie voci soliste. Un lettore si alza e legge il saluto di Giovanni rivolto ai destinatari, le sette Chiese dell’Asia Minore. Subito, però, siamo invitati a fissare lo sguardo sull’imponente figura dell’abside ove si levano «Colui che è, che era e che viene», cioè Dio Padre, e «Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra» (1, 4-5).

         Il Padre e il Figlio sono accompagnati dai «sette spiriti», ossia dallo Spirito Santo coi suoi sette doni. Ma, procedendo nella navata centrale, ci avviciniamo maggiormente all’abside trinitaria descritta per contemplare chi è al centro, assiso sul trono. È la grandiosa epifania divina che brilla nel frammento da noi citato. Il Signore stesso si autopresenta solennemente attraverso quattro titoli potenti e gloriosi che ora cercheremo di elencare e illustrare.

         Il primo è quell’«Io sono» iniziale, in greco egô eimi, un’espressione che rimanda alla famosa esperienza vissuta da Mosè davanti al roveto ardente del Sinai con lo svelamento di Dio stesso nella sua misteriosa identità: «Io sono colui che sono» (Esodo 3,14). Il secondo titolo è racchiuso in quelle due lettere dell’alfabeto greco, la prima e l’ultima, cioè alfa e omega: Dio abbraccia e dà senso a tutte le sillabe, le parole e gli atti disseminati nell’essere e nella storia.

         A questo punto si configura la terza definizione che era già stata anticipata nell’ingresso della nostra cattedrale ideale (1,4): «Colui che è, che era e che viene». È facile intuire che la tridimensionalità del tempo – presente (“è”), passato (“era”) e futuro (“viene”) – è introdotta per ricordare che Dio è il Signore di tutta la storia, ossia di tutto l’arco del tempo con gli eventi in esso custoditi, ma che è anche l’Eterno perché trascende il tempo abbracciandolo e superandolo.

         Infine Dio è il Pantokrator, l’Onnipotente, il dominatore del tutto e qui il pensiero corre a quelle stupende cattedrali nelle cui absidi è Cristo ad essere così raffigurato. Ora, invece, è il Padre e sarà lui, attraverso il Figlio a guidarci lungo le navate oscure, ove si annidano le potenze dissacranti del male della storia (il drago, la bestia, la prostituta), per condurci alla città-tempio luminosa e perfetta, la Gerusalemme nuova, santa e celeste.