IL PIÙ ANTICO CREDO CRISTIANO

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A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.

Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. (1 Corinzi  15, 3-10)

 

            Era probabilmente la Pasqua dell’anno 57. Da Efeso, sulla costa dell’Asia minore, san Paolo sta completando la sua Prima Lettera ai cristiani della città greca di Corinto. Nel penultimo capitolo di quello scritto l’Apostolo rievoca un momento lontano forse una ventina d’anni. In quell’occasione egli aveva imparato dai suoi maestri nella fede cristiana – da poco abbracciata, con l’esperienza traumatica sulla via di Damasco – un Credo che ora ripropone ai Corinzi e che è nel brano da noi scelto per illuminare questa domenica del tempo pasquale con la parola paolina.

            Il primo articolo di fede è quello della morte di Gesù, una morte reale, sigillata dalla pietra tombale della sepoltura, una morte interpretata come sorgente di redenzione per l’umanità peccatrice («per i nostri peccati»). Ma Cristo non è solo un personaggio dalla morte eroica: ecco, infatti, il secondo articolo di fede che proclama la sua risurrezione. È curiosa una variazione che vorremmo far capire anche a quelli che non conoscono il greco (la lingua in cui scrive l’Apostolo) perché essa ha un significato suggestivo.

            Ora, nell’originale greco, il morire di Gesù è espresso con una forma verbale detta “aoristo” (apéthanen): essa indica un’azione o un evento compiuto una volta per tutte, chiuso nella sua realizzazione, com’è appunto la morte. La risurrezione, invece, è definita con la forma verbale del “perfetto” (eghéghertai) che in greco designa un’azione o un evento che si prolunga dal passato fino al presente. Ecco perché si può dire che Gesù è morto nel passato, ma che il Cristo risorto è sempre davanti a tutti e “appare”.

            Le apparizioni che Paolo elenca sono appunto il segno della continua presenza del Risorto che incontra i suoi fedeli. Certo, ci sono i primi grandi testimoni come Pietro (Cefa) e i dodici apostoli o come Giacomo, vescovo di Gerusalemme. Ma c’è anche la folla degli oltre cinquecento cristiani che hanno avuto l’esperienza viva dell’incontro nella fede col Signore che vive per sempre. E, andando oltre nel tempo, ecco anche Paolo, l’antico persecutore, ultimo di tutti, simile a un “aborto”. Questa immagine iperbolica – in greco è usato il vocabolo éktroma che indica il feto nato prematuramente vivo o morto, ma anche la persona “espulsa” dalla società ed emarginata – delinea il senso di assoluta indegnità che l’Apostolo prova nei confronti di questo dono divino, ossia l’incontro col Risorto.

            Ma subito dopo appare un’idea che sarà sempre centrale nel pensiero paolino e che è un elemento di fiducia per tutti: la grazia di Dio è la protagonista che irrompe nel nostro vuoto, nella miseria e nella stessa nostra peccaminosità e fa trionfare la luce, trasformando il persecutore in apostolo, il peccatore in testimone, l’aborto in una persona che vive un’intensa e piena esistenza d’amore. Una pagina bellissima, questa, che ci fa conoscere il Credo più antico dei primi cristiani, ma che ci inserisce anche nella lista senza fine di coloro che hanno incontrato il Cristo Risorto.