Il “disegno d’amore”

Benedetto Dio,  Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. (Efesini, 1, 3-6)

            Sappiamo che il Nuovo Testamento nei primi secoli cristiani è stato affidato a copie su papiro e pergamena. Ebbene, in un papiro importante – contrassegnato dagli studiosi col numero 46, e nei codici pergamenacei Vaticano (dalla Biblioteca ove è ora ospitato) e Sinaitico (dalla sua prima custodia, presso il monastero di S. Caterina al Sinai) –  la Lettera agli Efesini, come è definita da tutti gli altri testi antichi del Nuovo Testamento, non reca il nome di questi destinatari. C’è, allora, chi ha pensato che essa fosse una sorta di lettera circolare che san Paolo aveva indirizzato a più Chiese, a partire da quella più rilevante di Efeso, una splendida città ellenistico-romana che si affacciava sul mar Egeo dall’attuale costa turca, detta allora dell’Asia Minore.

            In questa seconda domenica dopo Natale è appunto un duplice frammento della prima pagina di questa Lettera ad esserci proposto dalla liturgia (1, 3-6. 15-18). Noi ora sosteremo brevemente sul primo (1, 3-6), tenendo conto che esso è un “ritaglio” da un brano solenne, una “benedizione” che si leva a Dio Padre da parte dell’assemblea dei fedeli, a cui l’Apostolo dà voce. Vorremmo solo premettere una nota. La Lettera agli Efesini ha una sua originalità di stile e di temi rispetto agli altri scritti più celebri di Paolo (pensiamo a quelli ai Corinzi, ai Galati o ai Romani), tant’è vero che c’è chi intravede in essa la mano di qualche discepolo dell’Apostolo che raccoglie il suo messaggio e lo elabora.

            Tuttavia, si può anche più semplicemente vedere in questa Lettera il percorso progressivo del pensiero paolino, un percorso che ha un parallelo molto stretto nella Lettera ai Colossesi. Se ora ritorniamo al nostro “ritaglio”, potremmo raffigurarlo con un’immagine, quella di una sorgente e di due affluenti. La fonte è nel «disegno d’amore della volontà» divina: in greco c’è il vocabolo eudokía che rappresenta il desiderio benevolo del cuore di Dio nei confronti delle sue creature. Prima ancora che esse uscissero dalle sue mani, egli aveva già un progetto, proprio come fa un padre che sogna un futuro glorioso per suo figlio.

            Ed ecco, allora, il contenuto di quel “disegno d’amore”. Giungiamo, così, ai due affluenti. Il primo è quello dell’elezione: «ci ha scelti per essere santi e immacolati nella carità». Il grande sogno di Dio è, dunque, quello di vederci consacrati a lui, limpidi e dediti all’impegno dell’agápe, come è detta nell’originale greco la “carità”. Il secondo affluente d’acqua viva è la «predestinazione a essere figli adottivi»: è, quindi, l’adozione che ci rende partecipi della famiglia di Dio, accanto al Figlio unigenito Gesù Cristo. Questa “predestinazione” non è un impulso meccanico e costrittivo – come talora lo si è concepito – ma, come suggerisce il vocabolo greco (pro-orízo) – è ancora una volta un progetto, un disegno d’amore che pervade la mente e il cuore di Dio e che attende la nostra libera e gioiosa adesione.