L'AMICO DELLO SPOSO

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Allo sposo appartiene la sposa, ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. (Giovanni 3, 29)

 

         Non si rassegnavano che il loro maestro dalla voce tonante e dalla figura imponente, vero erede dei grandi profeti di Israele, lasciasse prevalere il giovane rabbí di Nazaret, a prima vista più modesto. Serpeggiava questo sentimento tra i discepoli di Giovanni il Battezzatore, un  sentimento venato anche di gelosia, come si riferisce nel contesto in cui è incastonato il frammento che abbiamo desunto dal quarto Vangelo. Là, infatti, si evoca questa reazione dei seguaci del Battista: «Rabbí, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco sta anche lui battezzando e tutti accorrono a lui!» (3, 26).

         È, questa, una tentazione che attecchirà anche tra gli stessi discepoli di Cristo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non era uno dei tuoi seguaci. Ma Gesù disse: Non glielo impedite!... Chi non è contro di noi è per noi!» (Marco 9, 38-40). Ma ritorniamo a Giovanni e alla risposta che egli rivolge contro il sospetto dei suoi zelanti amici. Ricorrendo a un famoso simbolismo biblico, usato dai profeti per delineare l’intimità del patto tra Israele e il Signore, ossia all’immagine nuziale, il Battista definisce Cristo come lo Sposo per eccellenza a cui è legata la sposa, che è la comunità dei credenti in lui.

         Già questa rappresentazione rivela la straordinaria considerazione di Giovanni nei confronti di Gesù, riconosciuto in pratica nella sua divinità, a causa dell’applicazione della simbologia nuziale profetica. In questa cornice egli ritaglia anche il suo spazio e delinea il suo autoritratto, quello di «amico dello Sposo». La formula non è generica, così come appare di primo acchito; essa, infatti, ha una qualità che potremmo definire come “tecnico-giuridica”. Nell’antico Israele l’“amico dello sposo” era colui che era stato incaricato dai due clan familiari di tenere i rapporti tra i fidanzati, così da formalizzare tutti gli aspetti concreti, legali ed economici del futuro matrimonio.

         Si tratta, quindi, di una missione rilevante, quella – fuor di metafora – di far incontrare Cristo e Israele. In questa luce Giovanni è veramente “il Precursore” o, come si legge nel prologo giovanneo, «non era la luce, ma colui che doveva dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7). Limpida e coraggiosa è, perciò, la confessione che egli aggiunge, destinandola ai suoi discepoli perché superino la loro ristrettezza spirituale: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (3,30).

         Una frase che è segno di verità e di umiltà, di consapevolezza della propria vocazione e dei limiti che essa comporta. Una vera e propria lezione soprattutto per genitori ed educatori, per guide e maestri: la loro missione non è quella di mettere se stessi al centro per farvi convergere per sempre il figlio o il discepolo; bensì è il far crescere l’altro in pienezza, così che raggiunga la sua maturità e abbia lui il primato. Tra l’altro, con il famoso filosofo latino Seneca del I secolo d. C., possiamo ricordare che «c’è un duplice vantaggio nell’insegnare perché, mentre si insegna, si impara».