SONO CON VOI TUTTI I GIORNI
Andate e fa te discepoli tutti i popoli…Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo. (Matteo 28,19-20)
Sono, queste, le ultime delle 18.278 parole greche di cui si compone il Vangelo di Matteo, gli ultimi dei suoi 1070 versetti, nell’ultimo dei 28 capitoli. In quell’«io sono con voi» si può facilmente sentire un’eco dell’«Emmanuele, Dio-con-noi», che aveva aperto il Vangelo durante il racconto della nascita di Gesù (1,23). La scena che conclude lo scritto matteano è grandiosa e ha come fondale il «monte che Gesù aveva indicato» ai suoi discepoli, la cui fede è ancora vacillante («essi, però, dubitavano»). Sappiamo quanto caro all’evangelista sia il monte come simbolo evocativo di quell’altra montagna sacra, culla di Israele, il Sinai: non per nulla egli aveva ambientato il primo dei cinque discorsi di Gesù proprio su un monte di Galilea (5,1).
Ora i discepoli sono ancora in Galilea e davanti a loro non c’è più soltanto quel maestro che aveva vissuto, mangiato e parlato con loro, ma il Risorto e questo non è più un semplice incontro ma una “cristofania”, cioè un’apparizione pasquale, un’epifania di “missione” (28,16-20). Infatti, le parole che Cristo destina a questi undici apostoli titubanti («essi dubitavano», annota infatti l’evangelista) sono un vero e proprio programma missionario che si distenderà nei secoli interpellando tutta la Chiesa. In questo impegno non appare solo il sacramento dell’iniziazione cristiana, quello dell’ingresso nella fede pasquale, ossia il battesimo, ma anche l’insegnamento dei precetti di Cristo che regolano l’intera esistenza del fedele.
Ormai si configura anche l’apertura universalistica che valica le frontiere di Israele: «Fate discepoli [si noti questa espressione che è ben diversa da un semplice “ammaestrare”, come talora si traduce] tutti i popoli». Si professa anche la fede trinitaria: il battesimo è amministrato «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Si proclama – evocando un passo del profeta Daniele (7,14) – la signoria cosmica di Cristo, il Pantokrator, come dirà la tradizione greca successiva, cioè il sovrano di tutto l’essere: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra».
Ecco, infine, quella promessa di essere sempre con noi ogni giorno, sino alla meta finale dell’aiôn, un termine greco che di per sé rimanda al tempo storico ma anche a ciò che è in esso, vale a dire il mondo e l’umanità. L’idea è, quindi, diversa rispetto a una pura e semplice «fine del mondo». Si tratta piuttosto della meta finale verso cui converge la storia della salvezza; è il fine più che la fine, è un approdo di pienezza. Forse Matteo, le cui origini giudaiche affiorano ininterrottamente nelle sue pagine, allude alla ripartizione della storia in sette ère, suggerita dalla tradizione apocalittica.
Ciascuna di esse comprendeva un arco di mille anni, cifra ovviamente simbolica per evocare un’immensa distesa di tempo. Si ricalcavano, così, i sette giorni simbolici della creazione, come è descritta nel capitolo 1 della Genesi. Il Cristo risorto si erge, quindi, solenne su tutta la sequenza della storia che da Adamo giunge fino al momento estremo quando «Cristo sarà tutto in tutti» (Colossesi 3,11). Egli si leva, possente e glorioso come il Risorto dipinto da Piero della Francesca, sulla sua Chiesa che ora è solo «un piccolo gregge» di undici dubbiosi, ma che è destinata ad allargarsi al mondo. E domina anche su tutto il Vangelo di Matteo che ha celebrato «Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (1,1), ma anche «Emmanuele che significa Dio-con-noi» (1-23).