IMITATORI DI CRISTO

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Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio.

Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. (1 Corinzi 10, 31 - 11, 1)

             Uno sguardo, prima di tutto, al contesto entro cui è inserito il brano che la liturgia di questa domenica ci propone. San Paolo affronta una questione che tormentava i cristiani di Corinto provenienti da famiglie pagane. In occasione di ricorrenze festose familiari ci si recava al tempio e là si compivano riti sacrificali che comprendevano banchetti con una parte delle carni immolate agli dei. Come comportarsi in una situazione del genere che coinvolgeva l’intera famiglia e gli amici? La risposta che l’Apostolo offre si basa su tre regole.

            Innanzitutto una norma di libertà: il cristiano sa che gli idoli sono nulla e quindi può serenamente partecipare alla festa comune. Una seconda regola, però, è quella della prudenza perché si può essere attirati dal male e incrinare la purezza della fede, ritornando al passato pagano. Infine, la legge della carità: col nostro gesto non dobbiamo scandalizzare i fratelli cristiani più deboli nella fede che, vedendoci allegramente coinvolti in atti apparentemente illeciti, ne possono rimanere turbati o tentati. Il testo che oggi leggiamo nella liturgia è il suggello a tutto il lungo brano dedicato dall’Apostolo a questa vicenda, denominata dagli studiosi col termine di origine greca “idolotiti” , cioè “sacrifici agli idoli”.

            Paolo celebra in primo luogo la libertà cristiana: se c’è buona coscienza, il fedele in ogni suo atto con serenità dia gloria a Dio, anche quando banchetta allegramente nel tempio pagano coi suoi familiari. Ma subito dopo aggiunge un appello alla prudenza: non si dia scandalo agli altri con la propria libertà, badando anche alla reazione delle persone semplici che possono giudicare malamente ciò che per noi in realtà è irrilevante. A questo punto l’Apostolo conclude con un’esortazione incisiva all’ “imitazione” di Cristo.

            È interessante notare che egli si presenta come modello da imitare, anche se a sua volta la sua testimonianza è ricalcata sulla figura di Cristo. Il cristiano è, quindi, la presenza visibile di Gesù davanti agli altri. Questo invito all’imitazione personale è reiterato tre volte da Paolo su temi diversi. Ai Tessalonicesi: «Sapete come dovete imitarci: noi non abbiamo vissuto oziosamente tra voi» (II, 3,7). Ai Filippesi: «Fatevi miei imitatori» (3,17). E agli stessi Corinzi: «Fatevi miei imitatori» (I, 4,16).

            Certo, c’è anche l’imitazione perversa, come accade ai nostri giorni con la potenza dei media che impongono mode e modi di vita spesso discutibili e persino negativi. Lo scrittore francese André Gide, nell’opera Nutrimenti terrestri, ammoniva: «Sii fedele a ciò che esiste dentro di te e non altrove». Combattere contro la tentazione del “branco” in cui intrupparsi vale per tutti e non soltanto per i giovani. Ma ciò che Paolo esalta è l’imitazione positiva che dovremmo offrire al mondo come lampada che brilla nelle tenebre e come città posta sul monte che è guida per chi cammina nella valle, per usare due famose immagini di Gesù (Matteo 5, 14-15).