IL SIGNORE DELLA DANZA

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«Il mondo è una festa di nozze. Danzi la tua piccola danza e poi te ne torni a casa». L’intera esistenza terrena è vista come una danza da Keyla la rossa, la provocante e provocatrice protagonista del romanzo postumo di quel grande scrittore yiddish che è stato Isaac Bashevis Singer, Nobel 1978 della letteratura. In realtà la festa che questo ballo suppone è turbata da un ben diverso approdo finale perché l’opera idealmente si conclude con una domanda capace di bloccare quel movimento gioioso e di far sanguinare il cuore: «Ma dov’è la casa? Nella tomba?».

Ora, la danza in tutte le culture e religioni è un simbolo che unisce «istinto e arte, preghiera e seduzione, gioco e pensiero, relazione e introspezione, comunicazione e meditazione. Danzare è estasi, rapimento, bellezza». Questa definizione di un atto, che fa abbracciare culto e cultura in un mirabile arabesco di passi, è posta in apertura a un delizioso e geniale libretto di Chiara Bertoglio, una giovane donna dalla creatività iridescente che spazia tra musica (è pianista e musicologa), teologia e letteratura. Si tratta di uno scritto essenziale eppure molto variegato, intestato e intitolato al Signore della danza, ammiccamento alla canzone Lord of the Dance composta nel 1963 dall’inglese Sidney Carter sulla melodia di un inno degli “Shakers”, i quaccheri americani, canzone citata nel saggio.

Già nel libro biblico dei Proverbi la Sapienza divina è personificata nell’atto creativo come un ’amôn, forse una “fanciulla” o un “artista”, che sta danzando e divertendosi nell’“atelier” del mondo che sta sbocciando dalle sue mani. Ecco, infatti, la sua confessione innica: «Io ero come una fanciulla, ero la sua delizia ogni giorno, danzavo davanti a Lui in ogni istante, danzavo sul globo terrestre, la mia felicità era tra i figli dell’uomo» (8,30-31). Suggestivo questo “io” divino oggettivato all’esterno nella Sapienza creatrice che esprime tutta la bellezza, l’armonia e l’originalità del creato nei passi della sua danza cosmica. Non per nulla la celebre coreografia mistica dei sufi musulmani, accompagnata dal suono dolce e malinconico del flauto, esprime il desiderio del fedele di entrare in sintonia con le evoluzioni astrali, le meccaniche celesti e la sorgente ultima divina dell’universo e dell’umanità.

Chiara Bertoglio, dopo aver fatto esplodere in una sorta di firework, un gioco pirotecnico musicale alla maniera di Haendel l’arabesco simbolico, spirituale, sonoro, amoroso, artistico che si condensa nell’atto della danza, si inoltra nelle Scritture Sacre inseguendo tutti i passi dei vari personaggi che si muovono nell’atto del ballo, a partire, ad esempio, dal re Davide che non teme l’ironia di sua moglie Mikal danzando freneticamente davanti all’arca del Signore nella processione inaugurale del suo regno nella nuova capitale Gerusalemme (2Samuele 6,5-22). La liturgia biblica, infatti, comprende questo stesso atto con tutta la sua emozione e bellezza: «Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell’altare… Lodate il Signore con danze», canta il Salmista, aggiungendo l’accompagnamento strumentale dell’orchestra del tempio (il Salmo 118,27 e il 150).

Certo, come accade anche nella cultura greca ove, accanto al movimento perfetto apollineo si accosta il frastuono del ritmo orgiastico dionisiaco, nella Bibbia si registra anche l’irrompere della coreografia eccitata davanti all’idolo del vitello d’oro (Esodo 32) o di quella isterica dei sacerdoti di Baal (1Re 18). E qui come non pensare al moderno “oratorio” Moses und Aaron di Schönberg? C’è un vero e proprio lessico di termini biblici differenti che indicano le varie tipologie del ballo nella ritualità ma anche nell’uso popolare e persino nelle degenerazioni. L’autrice non esita a sorprendere i suoi lettori evocando i «grembi danzanti» di Elisabetta, incinta del Battista, e di Maria, madre di Gesù, secondo il Vangelo di Luca. Così come mette in scena quel Battista la cui tragica fine è segnata proprio dalla «danza macabra» della figlia di Erodiade e quel Gesù che si fermerà incuriosito ad ascoltare le recriminazioni di alcuni ragazzi che in piazza protestano perché i loro compagni non accettano di essere coinvolti in un giuoco: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato» (Matteo 11,17).

Quello stesso Cristo che, secondo la tradizione apocrifa (gli Atti di Giovanni), farà danzare assieme a lui i dodici apostoli in un atto corale, quasi liturgico. E a proposito di liturgia e di storia della Chiesa, Bertoglio introduce una serie di affreschi deliziosi che dipingono riti segnati da pratiche coreutiche, santi saltimbanchi, rituali popolari, carole natalizie e tanto altro, giungendo fino alla Messa del “Katholikentag” di Münster del 2018, ove davanti all’altare all’Agnus Dei un giovane ha tracciato una danza, come spesso avviene nelle chiese africane e asiatiche. E, con molta pacatezza, l’autrice lancia una sfida critica al giornalista italiano e al teologo tedesco, che hanno colto questa occasione per ribadire il loro astio anti-bergogliano, spruzzato di ideologismo un po’ fanatico. In realtà, la danza quando è nobile, è un linguaggio non solo umano ma anche celeste, è atto storico e rito escatologico, come fa intuire in modo folgorante Dante nelle scenografie del suo Paradiso.

Ma già agli inizi del IV secolo uno scrittore cristiano, Metodio di Olimpo, non esitava a mettere in bocca a una vergine santa queste parole: «Io danzo guidata da Cristo, danzo in cielo attorno a Colui il cui regno non ha inizio né fine». Dopo tutto, l’ascensione del Risorto al cielo può essere veramente concepita come un “salto in alto” verso l’infinito e l’eterno, come cantava un altro autore del IV secolo, Sinesio di Cirene: «Tu dispiegasti le ali, balzasti sulla volta azzurra del cielo per arrestarti fra le pure sfere intellettuali… mentre l’Etere, saggio padre dell’Armonia sorrideva e sulla sua lira a sette corde intonava la musica per un canto epinicio».

Ad arricchire la trama delle figure della danza santa, umana e divina, disegnata in queste pagine – aperte da alcuni versi splendenti di luce nella loro motilità, tratti dai Quattro Quartetti di Eliot – aggiungiamo il ballo della Sulammita, la donna protagonista del biblico Cantico dei cantici. Su di esso abbiamo avuto occasione di condurre una ricerca esegetica, anche perché non mancano alcuni enigmi nella sua tipologia esecutiva denominata mahanajim. Senza entrare nel merito della questione filologica, ascoltiamo il canto intonato da un doppio coro che interpella così la donna abbandonata all’ebbrezza della rotazione danzante: «Voltati, voltati, Sulammita, voltati, voltati, vogliamo ammirarti! Che cosa volete ammirare nella Sulammita durante la danza dei due campi (mahanajim)?» (7,1). A questo punto il compagno inizia uno stupendo ritratto della sua amata partendo proprio dal frenetico muoversi dei piedi e dei fianchi: «Come sono incantevoli i tuoi piedi nei sandali, o figlia di principe! Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, capolavoro di mani d’artista!» (7,2).

GIANFRANCO RAVASI

Chiara Bertoglio, Il Signore della danza. Passi tra culto e cultura, Cittadella, Assisi, pagg. 106, € 11,50.

Pubblicato il 12/5/2019 col titolo: Coreografie delle Sacre Scritture