ECONOMIA E BIBBIA

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In modo semplificato, si può affermare che due sono i percorsi principali per accostarsi al testo biblico. Da un lato, si sondano le varie pagine, frutto di un arco storico millenario e scritte con inchiostri letterari e teologici differenti secondo le varie tradizioni e autori, così da recensirne i dati attraverso un approccio fenomenico: famose sono le enciclopedie bibliche che spesso in passato erano classificate sotto il genere del Reallexikon, ossia dei realia, proponendo voci riguardanti i personaggi, i movimenti socio-culturali, usi e costumi, la botanica, la fauna, e così via, in un arcobaleno immenso di informazioni.

         D’altro lato, quella massa documentaria può essere sottoposta all’ermeneutica che obbedisce a diversi criteri e metodi: anche qui per esemplificare, pensiamo all’interpretazione storico-critica, a quella sociologica (famosa la teologia della liberazione o le analisi di Gerd Theissen sul cristianesimo primitivo), alla psicoanalitica (Eugen Drewermann ne fu l’alfiere), alla lettura semiotica o femminista e così via. In questo caso il movimento è inverso: se nell’approccio fenomenologico il procedimento era «centripeto» e risaliva alla matrice e là si fermava, ora si assume quel nucleo di dati e lo si trasferisce, attraverso un processo «centrifugo», alla nostra contemporaneità per un confronto. Confronto attualizzante soprattutto quando è sul tappeto un testo religioso non meramente informativo ma di sua natura performativo, come è il caso della Bibbia che per il credente è «lampada per i passi nel cammino della vita» (Salmo 119,105).

         Questa premessa, forse un po’ scontata, vuole inquadrare il curioso elaborato di un noto professore di finanza aziendale della Cattolica di Milano, Carlo Bellavite Pellegrini, che ha incrociato l’economia e la finanza dei nostri giorni proprio coi dati biblici, apparentemente iscritti in categorie storico-sociali remote. Impressiona, perciò, nella lettura del testo, che accanto alle norme sull’istituto socio-sacrale del giubileo o alla strategia adottata dall’ebreo Giuseppe, divenuto viceré egiziano, per risolvere una crisi economica faraonica, o alla celebre parabola evangelica dei talenti ove appare persino il vocabolo «banchieri» (trapezítai in greco), e a molti altri dati biblici, si ritrovi accostato il linguaggio tecnico-finanziario attuale, creando nel lettore comune un effetto sorprendente e fin spaesante.

         Tanto per farci capire, ad esempio, la questione non rara nella Bibbia del prezzo di un campo viene vagliata secondo il paradigma del «pricing di un asset reale». Quando si sta affrontando il tema, frequente anche a livello biblico, dei contratti e dei mandati, ci imbattiamo in righe di taglio squisitamente tecnico che parlano di «Corporate Governance» ricordando «il mandato di un chief executive officer, nel contesto di una enlightened shareholders vision o di un capitalismo temperato». E così si dovrà sapere che oltre stakeholder, altrove presente, c’è anche lo shareholder. Subito, però, dobbiamo smentire l’impressione che il saggio sia concepito solo per chi opera nelle aule asettiche dell’accademia o in quelle vocianti di una Borsa.

         Infatti, Bellavite Pellegrini – che si premura di offrire in premessa e in conclusione una limpida trama della sua trattazione comparativa – procede nei capitoli in modo quasi narrativo facendo sfilare tutti i crocevia dell’economia, oltre a quelli già citati: dal rendimento coi suoi rischi alla moneta-prestito-interesse, dai debiti-crediti-donazioni ai patrimoni e alla famiglia, dal lavoro-salario-incentivo-ferie alla giustizia-equità, fino alla sostenibilità e alle risorse ambientali, confessando anche i soggetti da lui non trattati ma rilevanti come la fiscalità, la demografia, le migrazioni etc. La scoperta più inattesa che il lettore sperimenta è, però, nell’intarsio costante dell’autobiografia che rende appunto «narrativo» e veramente attualizzato il suo discorso biblico (ove, per altro, egli rivela un’ottima conoscenza dell’ebraico, acquisita attraverso un corso apposito).

         Si ha, così, un’ermeneutica esistenziale nel senso sopra evocato. Essa non esita a rimandare a maestri spirituali come il card. Martini, a scritti religiosi di riferimento come gli Esercizi Spirituali di s. Ignazio di Loyola (cari persino a Roland Barthes!), a esperienze sacrali come il cenno a spazi e tempi liturgici, ma anche l’evocazione di interlocutori posti all’antipodo come Brecht, transitando pure attraverso il canto delle poetesse del ’500 e così via. Certo, tutto questo è possibile perché il Primo e il Nuovo Testamento rispondono a un canone tipico della fede ebraico-cristiana, espressa in modo folgorante nel celebre prologo giovanneo: «Il Verbo si fece carne» (Giovanni 1,14), cioè cultura, storia, società, e appunto economia.

         Il titolo del saggio Tra terra e cielo ammonisce che l’autentico messaggio biblico non ci esorta a decollare dalla realtà concreta e immanente verso orizzonti trascendentali mitici e mistici. Ma neppure a perdere il nostro respiro interiore ascensionale nella polvere della storia e della materia. Ed è interessante che questo discorso affiori dalla penna di chi ha scritto una Storia del Banco Ambrosiano e, poi, di Banca Intesa, diventando così capace – come egli stesso afferma – di proporre efficacemente «un modo di ragionare sui fatti economici e finanziari ontologicamente diverso da quello a cui siamo abituati».

GIANFRANCO RAVASI

Carlo Bellavite Pellegrini, Tra cielo e terra, Bocconi ed., pagg. 185, € 17,50.