DALLA SIRIA AD AQUILEIA

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Ci sono figure della letteratura cristiana antica che sono entrate necessariamente nei manuali di storia del pensiero occidentale: un esempio per tutti, sant’Agostino, vescovo e teologo. Più esile è, invece, la conoscenza di quell’imponente bacino culturale che si è allargato a dismisura nell’epoca medievale successiva. È a quell’area che noi ora attingiamo, in modo meramente esemplificativo, proponendo qualche figura attraverso un’edizione recente dei loro scritti. Partiamo dal Vicino Oriente con una personalità di alto profilo, Efrem Siro, nato a Nisibi nel 306 e morto a Edessa nel 373, “scoperto” anche dalla cristianità occidentale quando Benedetto XV nel 1920 lo proclamò Dottore della Chiesa universale.

         Il fascino della sua produzione è legato all’innologia affidata a «poemi didattici» teologici che faceva eseguire anche da cori di voci femminili. Molte sue opere sono state tradotte anche in italiano: ora appare una curiosa mini-antologia tematica curata da Tomasz Szymczak, a cui si deve anche una vivace guida di lettura che riesce a condurre idealmente Efrem fino ai giorni del Covid, perché egli morì contagiato dagli appestati da lui curati. L’asse di questa raccolta è un delizioso frammento che ritesse poeticamente la scena della peccatrice pubblica che si getta ai piedi di Gesù assiso a mensa in casa del fariseo Simone, li bacia, li cosparge di profumo, li bagna con le sue lacrime (Luca 7,36-50).

         Cristo appare agli occhi di Efrem come medico delle anime, è il pescatore che strappa a Satana i peccatori, lasciandolo in lacrime per la sconfitta, è lo speziale che nel mortaio elabora il farmaco della vita, è il rapinatore che «ruba i peccati». Ma veramente affascinante è la rappresentazione della donna che si toglie mascara, braccialetti, tunica di lino fino, sandali lussuosi, profumi costosi (curioso il dialogo col profumiere) e che si presenta nella nuda verità della sua esistenza travagliata e della sua femminilità umiliata. Solo la lettura di questa omelia cantata può, però, rendere la creatività di Efrem, diacono e poeta di Siria.

         Rimaniamo ancora nel IV secolo, ma ci trasferiamo in uno straordinario centro veneto, Aquileia, il cui nome riporta subito alla memoria la superba basilica romanica e soprattutto l’antico pavimento musivo che anche l’autore che ora presentiamo aveva contemplato, appena uscito dalla fantasia iconografica degli artisti paleocristiani. Stiamo parlando di Rufino, uno dei grandi intellettuali e teologi di quel tempo, emblema di quella Chiesa patriarcale, dotata di un suo rito e di una sua nobile identità. Gabriele Pelizzari della Statale di Milano e il teologo veronese Giuseppe Laiti ci offrono, con testo latino a fronte, la versione della sua Spiegazione del Credo professato da quella comunità cristiana, l’«Ecclesia aquileiensis nostra», come la definiva Rufino.

         Interessante è, quindi, individuarne i vari asserti, a partire da «Dio Padre onnipotente, invisibile e impassibile», per centrarsi sul Cristo, ampiamente seguito soprattutto nella sua passione e discesa agli inferi, prima di svelarsi nella Pasqua, per concludere con lo Spirito Santo, la Chiesa, la remissione dei peccati e la risurrezione finale. Confrontandosi coi simboli di fede di Roma e delle Chiese d’Oriente, Rufino identifica la matrice originaria del credere cristiano già allora condiviso dalle diverse comunità ecclesiali. Tante altre componenti minori costituiscono la trama di questa professione di fede che diverrà una sorta di codice di riferimento nel Medioevo latino.

         A questo punto allarghiamo il nostro orizzonte con un’incursione nel silenzio monastico dei Certosini, la comunità religiosa di più rigida ascesi. Essa, però, fu anche sorgente di un fiume letterario spirituale ricco di acque limpide e dissetanti. A raccogliere questo flusso mistico è una vasta antologia di autori, dalle prime voci che echeggiano nel deserto silenzioso della contemplazione, come s. Bruno di Colonia e Guigo I e II di Grenoble (siamo nell’XI-XII secolo), fino a testimonianze che risuonano in comunità incastonate nel tumulto del nostro Novecento, come quelle di François Pollien o Augustin Guillerand.

         Alcuni filamenti luminosi si ramificano in modo costante in queste pagine, anche se la fonte della luce è sempre la contemplazione e il dialogo silenzioso con Dio a cui si ascende attraverso una «scala» ideale, un simbolo caro alla mistica di tutti i tempi e terre (citiamo solo Giovanni della Croce e Teresa d’Avila). Una «scalata», quindi, i cui gradini – secondo il già citato Guigo II – sono la lettura, la meditazione, la preghiera, la contemplazione. La vetta è il mistero divino, a strattonarci verso la valle c’è però il peccato, a riportarci in quota sono la purificazione del cuore e l’umiltà, a sostenerci c’è lo Spirito Santo, che è come la mano stessa di Dio che si stende verso la nostra libertà. Molto altro si scoprirà ascoltando queste voci così diverse e così sinfoniche che gridano nel deserto esteriore e intimo, uno spazio vuoto di cose e parole vane ma colmo di verità e bellezza. Là è piantata salda e stabile la croce di Cristo, dum volvitur orbis, mentre il mondo gira frenetico, come recita il motto dell’Ordine certosino.

GIANFRANCO RAVASI

Efrem il Siro, Colui che ruba i peccati, Libreria Editrice Vaticana, pagg. 147, € 11,00.

Rufino di Aquileia, Spiegazione del Credo, Paoline, pagg. 456, € 49,00.

Alla Scuola del Silenzio. Un itinerario di contemplazione. Antologia di autori certosini, Rubbettino, pagg. 525, € 29,00.