DUE PERCORSI FILOSOFICI

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«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la vostra filosofia». Così Amleto al suo fedele amico nel primo atto (scena quinta) dell’omonima tragedia shakesperiana. Dalla terra al cielo, dunque, si levano – spesso simili ad arabeschi di nuvole – molti sistemi filosofici e teologici. Lo stesso papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica Fides et ratio (1998) usava un’analoga metafora: «La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità».

         Questa volta, in modo molto semplificato, proporremo due percorsi filosofici intrecciati con la teologia che scelgono, però, di rimanere a terra. Iniziamo con una figura considerata spesso sbrigativamente come un vessillo dell’anti-religione, Ludwig Feuerbach (1804-1872), chino sull’umanità reale, certo che Dio sia solo «l’eco del nostro grido di dolore», proiezione di un anelito che scaturisce dalla nostra finitudine e pesantezza trascendendola. Anche se, in verità, il pensiero del filosofo tedesco non ebbe mai posa nel confrontarsi con la religione, il marchio che lo suggella è quello della negazione.

         Esso, a livello popolare, ha avuto il suo motto nel celebre detto L’uomo è ciò che mangia (per altro dotato di un’assonanza folgorante in tedesco nei due verbi «è», ist, e «mangia», isst). Ora, uno dei massimi interpreti del pensatore, Francesco Tomasoni (non per nulla è anche vicepresidente della «Internationale Gesellschaft der Feuerbach-Forscher»), offre due testi del filosofo che si connettono proprio a quel motto che si è trasformato appunto in uno slogan materialistico. In realtà, proprio questa coppia di scritti mostra quanto più complessa sia l’identità tra «essere» e «mangiare», soprattutto se inquadrata nel contesto del capolavoro Essenza del cristianesimo (1841). Il primo saggio s’intitola Scienza naturale e rivoluzione (1850) ed è, in filigrana, una recensione e rielaborazione delle tesi espresse da uno scritto dal titolo emblematico, La dottrina degli alimenti, di un suo discepolo olandese, Jacob Moleschott. Quest’ultimo, dopo esser stato espulso dall’università di Heidelberg, migrerà in Italia come docente a Torino e a Roma, riuscendo persino a diventare senatore del regno. La lettura del testo feuerbachiano permette, perciò, di accedere anche alla radicalità del suo uditore così formalizzata: «L’alimentazione è l’“uno e tutto” di Spinoza che tutto comprende in sé, l’essenza delle essenze… La sostanza alimentare è sostanza del pensiero». Ancor più sbrigativo era Moleschott: «Senza fosforo non c’è pensiero».

         Tomasoni, però, con la competenza panoramica che possiede, riesce a inquadrare in modo più articolato asserti così lapidari, tenendo conto che Feuerbach non cessò mai di duellare appassionatamente coi temi dell’anima e della stessa divinità. Certo è che riusciamo a intuire nel suo sistema i prodromi del dibattito che ancor oggi si surriscalda nell’ambito delle neuroscienze e sul nesso cervello-mente. Interessante è la lettura – sempre accompagnata dalla guida del suo interprete – anche dell’altro saggio Il segreto del sacrificio (1862), sottotitolato proprio col motto «L’uomo è ciò che mangia».

         Di scena ora è il fatto che nei vari culti spesso esiste un sacrificio di comunione che comprende un pasto con gli dei e persino un cibarsi simbolicamente di loro attraverso carni o alimenti naturali sacralizzati. Ricca e vivace è la descrizione di tale ritualità che, per altro, approderà anche nell’orizzonte di un antropologo come Lévi-Strauss col suo famoso Il crudo e il cotto (Il Saggiatore 1966). Suggestivo è seguire la ramificazione delle deduzioni teoriche che Feuerbach costruisce e che Tomasoni illustra, raggiungendo una conclusione generale riguardo al cibo nella sua dimensione sociale di condivisione e gioia, tant’è vero che «l’ultima pagina (del secondo saggio) ci presenta il nutrimento dell’amore materno».

         Passiamo, così, senza soluzione di continuità al secondo percorso filosofico-teologico a cui solo accenniamo. Antonio Russo, docente all’università di Trieste, traccia un vero e proprio ricamo ermeneutico attorno a una categoria che corre il rischio di essere anch’essa deformata in slogan, la solidarietà. E lo fa attraverso una trama diacronica ma intessuta con un robusto filo tematico sincronico. Il punto di partenza è la «metafisica della carità» idealmente proposta da Maurice Blondel, raccolta, elaborata e fatta fiorire sul versante teologico da una grande figura come Henri de Lubac, fortemente ancorato al pensiero blondeliano in un dialogo attestato anche dall’epistolario inedito finale.

         La genealogia prosegue col teologo tedesco Walter Kasper, erede di de Lubac sul tema della misericordia, e sosta in modo decisivo nel magistero di papa Francesco che ha introdotto la solidarietà come un paradigma ecclesiale. Il lettore del testo di Russo rimarrà coinvolto non solo nell’analisi delle tappe squisitamente teologiche (c’è anche Ratzinger, così come un meno noto Tommaso Federici, raffinato studioso laico di esegesi biblica e liturgia), ma anche in un sorprendente e vivace capitolo dedicato a Stefano Rodotà al quale si deve una riflessione acuta e «laica» (in altro senso rispetto a prima) sulla Solidarietà, un’utopia necessaria (Laterza 2016).

GIANFRANCO RAVASI

Ludwig Feuerbach, L’uomo è ciò che mangia, a cura di Francesco Tomasoni, Morcelliana, pagg. 111, € 12,00.

Antonio Russo, Antiche e moderne vie della solidarietà, Unicopli, pagg. 228, € 18,00.