MISTICA CRISTIANA

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«Come chi, messosi in mare su di una barchetta, viene preso da tremenda angoscia nell’affidare un piccolo legno all’immensità delle onde, così anche noi soffriamo mentre osiamo inoltrarci in così vasto oceano di misteri». Questa immagine potrebbe esprimere l’emozione che si prova iniziando la navigazione testuale proposta dal primo volume di oltre 1600 pagine appartenente a un trittico – incastonato nei «Classici dello spirito», sezione dei «Meridiani» mondadoriani – dedicato alla mistica. Uno dei primi autori a venirci incontro è proprio l’autore delle righe citate, lo scrittore cristiano Origene, nato ad Alessandria d’Egitto attorno al 185 e morto a Tiro dopo il 250.

         Il simbolo dell’oceano, che si allarga a dismisura ed è segnato da litorali mobili, è d’altronde adottato anche da un altro mistico, lo spagnolo cinquecentesco Luis de León, che in una delle sue pagine, con incantato stupore poetico, confessava: «En Diós se descubren nuevos mares cuanto mas se navega». A erigere l’imponente architettura del trittico è convocato un manipolo di studiosi coraggiosi, guidati da un esperto di alta caratura intellettuale come il veneziano Francesco Zambon, classe 1949, che ha insegnato filologia romanza alle università di Padova e Trento. A lui dobbiamo la mappa sia della trilogia, sia soprattutto di questo mare così vasto com’è quello della mistica. Fondamentale è, perciò, la lettura della sua introduzione generale destinata a comprimere nello stampo ristretto di un saggio la fluidità e l’incandescenza di questa materia.

         Già il vocabolo «mistica», con la sua matrice greca myein, «tacere chiudendo le labbra», contiene in sé un ossimoro, il parlare tacendo, dato che «ciò che caratterizza la lingua della mistica è lo sforzo costante di andare oltre i limiti della lingua normale», fino ad affondare nell’apofatismo e quindi nel silenzio. Ricordava un mistico persiano, Farid ed-Din ’Attar, vissuto tra il 1136 e il 1230, che «la dottrina della preghiera e della contemplazione si compone di dieci capitoli: parlare poco è l’argomento del primo; tacere è quello degli altri nove». Che si tratti di un silenzio «bianco», ossia sintesi di tutti i colori splendenti delle parole, è confermato proprio dalle pagine del volume, affollato da quasi una settantina di presenze che spaziano dalla mistica tardogreca e bizantina, s’inerpicano lungo i sentieri d’altura della tradizione siriaca e armena e si distendono nell’ampia valle della spiritualità latina (a partire da Ambrogio e Agostino) e italiana medievale. E in quest’ultimo capitolo si affacciano volti noti a molti, da Iacopone da Todi a Chiara d’Assisi, da Angela da Foligno a Caterina da Siena.

         Lo sguardo nei tomi successivi del trittico si allungherà alla mistica tedesca e fiamminga, francese e italiana moderna (tema del secondo volume) e, infine, subentrerà la tradizione iberica, inglese e americana, russa e svedese. Legittimo è, quindi, il ricorso alla metafora del mare, anche perché le onde che lo popolano possono essere non solo mobili, come è ovvio, ma pure limacciose o variegate con iridescenze persino segnate dall’eterodossia (si pensi allo gnosticismo o a Giordano Bruno). Impresa ardua è il navigare in questi flutti, a partire dalla stessa definizione di mistica, tant’è vero che uno dei più noti studiosi di questo fenomeno, Elémire Zolla, coi suoi sette volumi dei Mistici di Occidente (Rizzoli 1976-80), riproposto in due tomi da Adelphi nel 1997, si abbandonava a una sorta di nebula vaga e fin indecifrabile, dichiarando che la mistica sarebbe «ripetizione, in una civiltà non più corale, dell’esperienza iniziatica». La deriva ideologica è quella di ritenere la mistica un bagno nell’irrazionale o, peggio, la caduta nella degenerazione volgare (la «mistica fascista»…).

         Già un vocabolo fratello come «mistero», ben noto al Nuovo Testamento ove ricorre 28 volte, suppone contemporaneamente un segreto e una rivelazione, manifestando così la dialettica sottintesa anche alla parola sorella «mistica». È la conoscenza di un progetto occulto della mente divina che le Scritture svelano in una trasparenza ancora «confusa, come in uno specchio…, in modo imperfetto», per usare il lessico paolino. Ma è anche partecipazione vitale a quel disegno trascendente attraverso il «mistero-sacramento», in particolare l’eucaristia. È pure, in modo più lato, il rapporto personale e l’unione con Dio. E alla fine si approda a un concetto globale come quello del «corpo mistico» di Cristo che è la Chiesa.

         Detto questo, però, si deve ribadire che la riva di quel mare si slabbra e mistero-mistica «travalicano l’ambito della letteratura religiosa, per designare ogni tipo di ermeneutica che ricerchi significati occulti o segreti». Persino un non cristiano dichiarato e poco spirituale come Bertrand Russell scriveva un saggio su Misticismo e logica, ove asseriva che «i più grandi filosofi hanno sentito il bisogno sia della scienza sia della mistica». Ed è recente, ad esempio, lo studio di Gabriele Guerra sul fondatore del Cabaret Voltaire, Hugo Ball (1886-1927), sospeso sul filo «tra dada e mistica», come dice il sottotitolo del suo volume (L’acrobata d’avanguardia, ed. Quodlibet).

         Zambon, pur consapevole della fatica di identificare una grammatica di questa realtà, esercizio per altro affrontato da figure di grande prestigio a cui egli rimanda spesso (tanto per esemplificare, Michel de Certeau, Giovanni Pozzi o Henri Bremond), offre nella sua introduzione un quadro d’insieme di questo orizzonte così orlato di luce e fremente di passione (l’eros mistico è tutto nell’Estasi di s. Teresa del Bernini), ma anche striato dalla teologia negativa. Non esita, perciò, ad inoltrarsi anche nell’epistemologia sottesa, alla cui decifrazione si affannano non solo i più autorizzati come i teologi, ma anche storici della religione, filosofi, antropologi, psicologi, psicoanalisti (Jung e James insegnano). Infatti, all’ontologia di una presenza trascendente divina si associa una variegata soggettività. In questa linea si pongono in contrappunto la teologia e l’esperienza, il teorico e il vissuto, l’unione con Dio e l’ascesi, le strutture comuni e le coordinate cultuali, religiose, geografiche differenti.

         Rimandando al saggio Mystics di William Harmless, edito nel 2007 dall’Oxford University Press, Zambon considera come «suggerimento più realistico quello di considerare la mistica, più semplicemente e modestamente, come un macro-concetto» sotto il cui manto si raggruppa spesso una miriade di significati e componenti (per analogia si pensi ai concetti di «Dio», «rito», «Scrittura», «profezia» e così via). Egli si inoltra con acutezza anche in quell’ambito apparentemente contraddittorio a cui abbiamo sopra accennato, ossia nel linguaggio e nella lingua mistica. Anzi, non esita a decifrare le caratteristiche della stessa poesia mistica come transito verso l’ineffabile e applica alla questione una sorprendente analisi condotta da María Zambrano su Poesia e filosofia (1939). Questa straordinaria pensatrice sconfinava, infatti, nella mistica citando il Cantico spirituale di Giovanni della Croce e si affacciava sulla notte dell’inesprimibile, tópos classico della mistica, aggrappandosi a uno dei «deliri» della Stagione all’inferno di Rimbaud: «Scrivevo silenzi, notti, annotavo l’inesprimibile, fissavo vertigini».

GIANFRANCO RAVASI

La mistica cristiana, a cura di Francesco Zambon, vol. I Mistica tardogreca e bizantina, siriaca, armena, latina e italiana medievale, a cura di Marco Rizzi, Sabino Chialà, Boghos Levon Zekiyan, Francesco Zambon, Meridiani, Mondadori, Milano, pagg. 1613, € 80,00.

Pubblicato col titolo: Folgorati dal mistero del «parlar tacendo», su IlSole24ORE, n. 197 (19/07/2020).