ELIADE E RIES

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Arduo è immaginare una data come il 90.000 a.C. Eppure è proprio allora che nel Vicino Oriente appaiono alcuni segni che permettono di identificare un anelito di immortalità: tracce di cibo e di utensili sono collocati accanto a scheletri umani sepolti. Da quel sussulto simbolico minimo prende l’avvio un vero e proprio fiume di dati che crescono a dismisura e che scandiscono una speranza di sopravvivenza oltre la frontiera estrema della morte. Due personaggi fondamentali nell’antropologia culturale come Mircea Eliade (1907-1986) e Julien Ries (1920-2013), hanno allestito uno straordinario dizionario che – col contributo di diversi studiosi – incrocia una trilogia dalla quale l’uomo contemporaneo cerca di voltare la faccia: vita, morte, eternità.

         In realtà a quel crocevia siamo tutti insediati coi piedi che scivolano lentamente o precipitosamente verso l’ultima tappa. Nella storia dell’umanità essa è stata spesso rubricata sotto il termine «eternità» oppure «oltrevita» o, in modo più specifico, «immortalità» o «risurrezione». Ma si deve anche segnalare la netta convinzione di molti che più o meno replicano, pur ignorandoli, i versi di Caproni nel Franco cacciatore: «Se ne dicono tante. / Si dice, anche, / che la morte è un trapasso. / Certo: dal sangue al sasso». Oppure intonano, senza l’armonia originaria, il canto di Jago nel II atto dell’Otello verdiano: «La Morte è il Nulla e vecchia fola il Cielo».

         Eliade e Ries squadernano un ben diverso palinsesto che vede sovrapporsi le più varie scritture, a partire appunto dagli esordi dell’homo sapiens. Anzi, la loro proposta è quella di avviarsi in un itinerario che non si circoscrive agli Indoeuropei molto coinvolti nel tema della sopravvivenza ma che si affaccia sull’Oriente vicino e remoto con tappe affascinanti in Egitto e in Cina, in India e in Arabia, ma anche in Mesoamerica e in Australia. Questo viaggio esige una sosta prolungata nella Grecia antica (Pitagora, Platone e l’orfismo si meritano voci esplicite), nell’Israele antico, nel cristianesimo e nell’islam.

         In questo viaggio è necessario impugnare una bussola orientativa che nel dizionario è affidata a voci di sintesi come «aldilà, ceneri, escatologia, eternità, giudizio dei morti, immortalità, inferno e paradiso, male, morte, reincarnazione, risurrezione, riti funerari, tomba, unione mistica». Spesso l’analisi tematica si trasforma quasi in narrazione rendendo godibile la lettura, nonostante il soggetto sia per molti rabbrividente. In realtà, ben teso è il filo della speranza che si snoda nelle varie culture e che si dipana in racconti simbolici (pensiamo, ad esempio, al mito di Orfeo, allo zoroastrismo o alle tradizioni orali di popoli nativi). Gli apparati documentari e bibliografici permettono, comunque, di scavare ulteriormente in questo deposito di credenze escatologiche.

         Da questo territorio di studi sconfiniamo, pur restando sempre in compagnia dello stesso autore, Julien Ries, i cui archivi sono custoditi ora presso l’Università Cattolica di Milano, un patrimonio donato dallo studioso su impulso dell’editrice italiana della sua opera omnia, la coraggiosa e prestigiosa Jaca Book. Infatti, è stato appena pubblicato un suo monumentale studio sul Culto di Mithra, frutto di un corso accademico tenuto all’università di Lovanio nel 1978-79. Si prova un senso di vertigine leggendo queste pagine che spaziano dall’India vedica ai confini dell’impero romano, rivelando una documentazione impressionante su questo dio indoiranico, venerato già nel II millennio a.C. in un culto misterico che approderà anche a Roma ove rimarrà vivo fino al IV sec. d.C.

         Divinità del «contratto», cioè del patto sociale e dell’alleanza con gli dei, artefice della guerra contro il male e il disordine, Mithra migra dall’Oriente attraverso i re achemenidi e sassanidi di Persia, i Parti, i Seleucidi fino a Roma. Sarebbero state – secondo Plutarco – le legioni imperiali e i pirati da loro catturati a far penetrare il mitraismo nella capitale e in Europa. La sezione più affascinante dell’opera di Ries è quella dedicata al culto iniziatico e ai misteri mitraici, rituali salvifici celebrati spesso in grotte. Attraverso la tauroctonia, rappresentata in varie sculture, cioè l’uccisione di un toro da parte di Mithra, e il relativo banchetto sacro, accostato imprudentemente all’eucaristia cristiana (l’uno è un atto fondato su un mito, l’altro rimanda all’evento e alla persona storica di Cristo), si otteneva una comunione mistico-salvifica dell’iniziato con Mithra.

         Il cosmo è concepito come una scala su cui l’anima ascende, oltrepassando le porte delle sette sfere celesti o pianeti, per accedere all’eternità (le «stelle fisse») varcata l’ottava porta. A Ostia e nella stessa Roma (S. Prisca) l’archeologia ha rivelato una presenza mitraica importante, contestata già dai primi cristiani perché in quel rituale misterico vedevano un’imitazione sacrilega dell’eucaristia. Anche recentemente nel mitreo di Ostia è venuta alla luce una statua lesionata, curiosamente in stucco, del dio: già nel 1978 si era tenuto a Ostia e a Roma un grande congresso internazionale mitraico, il cui documento finale è citato da Ries a suggello del suo volume, un’opera così viva ed efficace da conquistare anche il lettore che forse conosce il nome di Mithra solo come avvolto in una nebula esoterico-mistica.

GIANFRANCO RAVASI

Mircea Eliade e Julien Ries (a cura di), Dizionario della vita, morte ed eternità, Jaca Book, pagg. 474, € 50,00.

Julien Ries, Il culto di Mithra, Jaca Book, pagg. 336, € 35,00.