ERRI DE LUCA E DARIO FO

biblioteca

Nel suo catalogo l’editrice valdese torinese Claudiana – che ha inglobato anche la prestigiosa e accademica Paideia – accanto a saggi teologici, commentari esegetici, studi storici, tutti solennemente paludati di note in calce e irti di bibliografie, da un po’ di tempo ha aperto un percorso a prima vista sbarazzino, ma non per questo privo di un suo rigore analitico. Ha, infatti, iniziato ad attraversare i territori della cultura contemporanea alla ricerca di scaglie o anche di veri e propri depositi legati alla Bibbia, in particolare ai Vangeli. Certo, è facile scavare e scovare matrici e reperti biblici in Lutero, Dante, Leopardi, Michelangelo e persino in Saint-Exupéry, Merini e Tolkien.

         Molto più esile sembrerebbe la messe se si spigola nei fumetti di Tex Willer, di Mafalda o dei Simpson, o se ci si inoltra nel frastuono del rock’n’roll o di Star Wars e ci si accosta a monumenti pop della contemporaneità come Kerouac o Springsteen. Questa avventura esplorativa ha contaminato anche altri editori «confessionali». Ad esempio, l’editrice milanese Ancora, nota per i suoi testi di spiritualità, ha immesso in libreria tempo fa l’imponente trittico che Renato Giovannoli ha dedicato alla Bibbia di Bob Dylan, mentre l’EMI, che è l’Editrice Missionaria Italiana, ha ripreso Springsteen e si è orientata verso gli imprescindibili Guccini e De André. Quest’ultimo, poi, con la sua La buona novella, è stato celebrato da un saggio pubblicato dalle inattese e insospettabili Edizioni Terra Santa…

         Fermiamoci qui, in questo spoglio bibliografico non esaustivo, perché premono altri due titoli che la citata Claudiana ha da poco destinato ai suoi lettori curiosi. In verità, il primo volume pone sulla ribalta un autore che ha la Bibbia in costante filigrana quasi in tutte le sue pagine. Anzi, ne è stato un originalissimo traduttore e commentatore, convinto che «la potenza della Scrittura sacra è di rendere ogni lettore contemporaneo e testimone delle cose narrate». È facile intuire che stiamo parlando di Erri De Luca, il cui solo nome esime da ogni altra presentazione della sua pur complessa e variegata personalità e produzione letteraria.

         All’analisi del suo «vangelo» (in senso lato) si è impegnato un docente che si è già segnalato per i suoi suggestivi approcci narratologici alla Bibbia, Luciano Zappella. Difficile è abbozzare sinteticamente il profilo di un narratore «napòlide» e metamorfico come De Luca: eppure questo suo interprete riesce a fissarne il volto ricorrendo sia alla biografia, ma soprattutto alla policroma e vasta bibliografia. Personalmente ritengo suggestivi e significativi due capitoli che comprimono l’incandescenza e la fluidità di molti scritti di questo «ospite della Scrittura» nello stampo di una duplice definizione pertinente. Innanzitutto la classificazione che lo consacra come targumista, evocando un termine aramaico che in pratica rimanda alla «traduzione», capace di intrecciare il ricalco pietroso alla spumeggiante equivalenza letteraria e semantica (emblematico è il Giona/Ionà, formidabile parabola universalistica biblica).

         L’altra definizione è quella di un De Luca midrashista, laddove il vocabolo ebraico dischiude la pianura verdeggiante o le vette celesti della narrazione parabolico-parenetica che affascina ma anche informa e performa il lettore. E qui basterebbe citare la primordiale Una nuvola come tappeto, ma anche quella deliziosa eppur rigorosa rilettura della figura di Gesù/Jeshu a partire dai Vangeli della sua infanzia. Non cediamo alla tentazione di aggiungere altro perché l’orizzonte aperto da Zappella è veramente panoramico, eppure capace anche di non ignorare e persino ingrandire ogni dettaglio. Dobbiamo, infatti, passare all’altro titolo, forse più provocatorio e, fino a qualche tempo fa, sconcertante soprattutto per alcune autorità ecclesiastiche.

         Marco Campedelli, operatore teatrale con un curriculum di studi teologici accademici, si è messo a investigare Il vangelo secondo Dario Fo, aprendo il suo saggio con un quesito da lui rivolto proprio al Nobel del 1997: «E se Gesù avesse messo davvero in piedi un teatro? Una compagnia girovaga per raccontare il mondo alla rovescia?». Certo è che Fo ha attinto a piene mani al racconto evangelico, dalle nozze di Cana alla risurrezione di Lazzaro, da Maria madre di Gesù che sale sul Golgota ai piedi della croce del Figlio ai vari miracolati come il cieco e lo storpio, per giungere infine al discepolo perfetto di Cristo, quel «santo jullare Francesco» che affascinerà Fo, pronto a trascinarlo in scena e nei suoi testi infinite volte.

         Il ritratto di Campedelli, che spesso divaga inoltrandosi anche nei contesti della vicenda dell’autore colorandola con la sua personale sintonia e simpatia, potrebbe aprire il discorso su un aspetto ermeneutico basilare, quello della distinzione tra desacralizzazione e dissacrazione. Il confine è reale ma fragile perché i due termini non sono sinonimici (come si crede) pur fiorendo dall’unica radice, il «sacro», che a sua volta si accosta al «santo», vocaboli anch’essi non strettamente coincidenti, come invece accade nella pratica linguistica. Questa riflessione, che lasciamo sospesa, avrebbe nel «mistero buffo ma non troppo» di Fo uno straordinario campo di esercitazione.

GIANFRANCO RAVASI

Luciano Zappella, Il vangelo secondo Erri De Luca, Claudiana, Torino, pagg. 216, € 14,50.

Marco Campedelli, Il vangelo secondo Dario Fo, Claudiana, Torino, pagg. 144, € 12,90.