BIBLIOGRAFIA PAOLINA

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            «Nelle lettere del nostro carissimo fratello Paolo vi sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli incerti le travisano, al pari delle altre Scritture, a loro rovina». Questa  curiosa affermazione della Seconda Lettera di Pietro (3, 16) da non pochi esegeti considerata come uno degli ultimi scritti neotestamentari, posto idealmente sotto il patronato di «Simeone Pietro, apostolo e servo di Gesù Cristo» (così nell’incipit), ci offre almeno due dati: da un lato, l’ormai avvenuto riconoscimento delle lettere paoline come “Scritture” ispirate e sacre, ma d’altro lato, anche la necessità di una loro corretta ermeneutica. Senza di essa si può approdare a certi giudizi lapidari come quelli di Renan, che considerava gli scritti dell’Apostolo «un pericolo e uno scoglio, la causa dei principali difetti della teologia cristiana»; di Nietzsche che definiva Paolo un “disangelista” (cioè l’antitesi di un “evangelista”); di Wrede che lo opponeva a Cristo come “secondo fondatore del cristianesimo”; o di Gramsci che lo classificava sotto l’etichetta di “Lenin del cristianesimo”.

 

            Il proclamato bimillenario, ancorato a una data di nascita simbolica più che reale, ovviamente ha infittito una già sterminata bibliografia. Come abbiamo fatto in passato, ne daremo conto anche noi, in modo più emblematico che esaustivo. Partiamo, ad esempio, con una raccolta di scritti di Benedetto XVI, curata da Elio Guerriero sotto il titolo Paolo, l’apostolo delle genti (Libreria Editrice Vaticana – San Paolo, pagg. 96, € 10,00), ove a vari saggi o discorsi del Papa già editi si premette l’annuncio ufficiale di indizione dell’anno paolino 2008-2009.  Per il confronto Gesù-Paolo rimandiamo, invece, a due saggi già da noi evocati qualche tempo fa. L’importante Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso di Giuseppe Barbaglio, uno studioso di prim’ordine della letteratura neotestamentaria e paolina in particolare, scomparso lo scorso anno (Dehoniane, Bologna, pagg. 312, € 25,00), compara il Gesù annunziatore del Regno di Dio all’Apostolo del Cristo morto, risorto ed escatologicamente atteso. È un “confronto storico”, come dice il sottotitolo, che mostra un Paolo né appiattito su Gesù, né così distanziato da sostituirglisi. Più “biografica” è l’altra sinossi tra Gesù e Paolo, opera di un grande esperto paolino, Jerome Murphy-O’Connor (San Paolo, pagg. 199, € 14,00), autore di una fondamentale Vita di Paolo, tradotta

 

 dall’editrice Paideia nel 2003. Il sottotitolo è anche in questo caso significativo perché, ammiccando a Plutarco, parla di “vite parallele”. È, comunque, indispensabile quando si parla dell’Apostolo intrecciare biografia e teologia, tanto esse s’impastano tra loro nel cuore di una personalità che ha conquistato anche Pasolini, pronto a dedicargli un film, rimasto solo a livello di sceneggiatura, edita postuma da Einaudi nel 1977. Così, un altro noto studioso, Joseph A. Fitzmyer, già autore di un commentario alla Lettera ai Romani (tradotto nel 1999 da Piemme), propone un suo Paolo (Queriniana, Brescia, pagg. 247, € 20,00) in cui si procede dalle due fonti documentarie disponibili, l’epistolario e gli Atti degli Apostoli, per delineare un profilo dell’ambiente (giudaico, ellenistico, cristiano primigenio), dei tre viaggi missionari da collocare tra il 46 e il 58 e soprattutto della teologia paolina. La chiave interpretativa del pensiero che brilla nelle varie Lettere è indubbiamente cristologica e l’esegeta americano lo dimostra attraverso le tre “prospettive dominanti”, ossia la soteriologia (o dottrina della salvezza), l’antropologia e l’etica.

 

            A questo ritratto completo dell’Apostolo – che nella copertina del volume è visualizzato da una miniatura che perpetua la leggenda della caduta da cavallo sulla via di Damasco (elemento assente nel racconto degli Atti degli Apostoli riguardante la conversione di Paolo) – associamo  un profilo esclusivamente teologico, dovuto al vescovo anglicano di Durham che è stato a lungo docente a Oxford e Cambridge, Nicholas Th. Wright, L’apostolo Paolo (Claudiana, Torino, pagg. 229, € 20,00). In verità, i vari capitoli dell’opera corrispondono a una serie di lectures tenute a Cambridge, che cercano di isolare i lineamenti più incisivi della fisionomia del primo e fondamentale pensatore del cristianesimo, sulla scia di un saggio più divulgativo dello stesso autore, tradotto dalla medesima editrice torinese nel 1999, Che cosa ha veramente detto Paolo.

 

            Wright ritiene che l’Apostolo sia «una figura intellettuale del livello di Platone, Aristotele o Seneca», nonostante la sua opera sia solo «una frazione dei loro scritti». Proprio per questo, «leggere Paolo è come scalare una montagna, lungo molti sentieri». Lasciando a margine i percorsi da escursionisti domenicali, lo studioso punta agli itinerari d’altura, dopo aver superato le pendici dei dati contestuali (l’eredità biblica, l’apocalittica messianica, la cultura imperiale). Paolo nei suoi picchi ideali costringe a ripensare il concetto di Dio, andando oltre il monoteismo ebraico, a ridefinire il popolo di Dio, a reimmaginare il futuro della storia e a reimpostare la struttura e la missione della Chiesa. Sì, perché egli fu anche e soprattutto un pastore (e non un teorico frigido e asettico, come pensavano Gramsci e tanti altri a livello colto e popolare).

            Basti leggere le due Lettere ai Corinzi. È appunto su questa base che Franco Manzi, esegeta milanese, propone un altro profilo di Paolo apostolo del Risorto (San Paolo, Cinisello Balsamo, pagg. 219, € 14,00), soffermandosi in particolare sulla prima di quelle Lettere. Il risultato, raggiunto attraverso un itinerario testuale molto vivace (anche se con qualche divagazione dispersiva, come quella sulle gazzelle di Saint-Exupéry nelle pp. 188-189), si riannoda a quell’asse costante da tutti riconosciuto come portante nella biografia e nel pensiero paolino, ossia «il nesso dell’immedesimazione con Cristo e la carità pastorale», al punto tale che Paolo confessa agli amati Filippesi che «per me il vivere è Cristo». È ciò che aveva suggestivamente intuito il poeta Mario Luzi, quando scriveva che «il nucleo della forza di Paolo sta nell’assunzione totale ed esclusiva del Cristo Gesù come termine di ogni verità e giudizio. Si tratta anzi di una vera immedesimazione con la sua persona e di una piena integrazione nel suo corpo avvenute (e predicate) mediante il battesimo nella morte di Gesù».