Nel 1894 il russo Nicolai Notovitch dette il via alla ricostruzione della fantasiosa e apocrifa “vita sconosciuta” di Gesù in India (l’opera fu tradotta nel 2000 dalle ed. Amrita di Torino). Nel 1982 il tedesco Holger Kersten pensò bene di rinvigorirla, abbarbicandola anche a un controverso testo sacro indiano, il Bhavisya Purāna che faceva di Cristo un pellegrino sulle vie del dharma. Certo è che, già a partire dall’antichità (le tradizioni legate all’apostolo Tommaso), i due orizzonti dell’induismo e del cristianesimo – pur nelle diversità radicali dei loro fenotipi – si sono sogguardati e talora incrociati. Ora, in un saggio che rivela una ricerca impeccabile e di prima mano, Nicola Mapelli, che è un missionario ma che opera anche alla “Sapienza” di Roma, cerca di delineare un vasto affresco del confronto teologico tra Oriente e Occidente, tra Assoluto e Storia, per usare la simbologia del titolo del volume.
Certo, le modalità di questo incontro sono molto variegate e fin pittoresche. Così, l’India si è affacciata sulle nostre terre culturali e spirituali ora con un Aurobindo, che può essere considerato “la perfetta sintesi fra cultura occidentale e sapienza orientale”, ora con la star mediatica Bhagwan Rajneesh e i suoi “arancioni” di facile accontentamento spirituale, ora col guru da esportazione Sai Baba che ha abbacinato non solo qualche manager nostrano ma persino un prete bergamasco. Ma ci sono state anche figure ben più alte e serie come Vivekananda e Radhakrishnan con le loro “cristologie” che adottavano il pensiero advaita come via interpretativa della figura di Gesù, con qualche deriva sincretistica, effetto scontato in ogni meticciato ideologico.
È stato però, soprattutto l’Occidente a incamminarsi verso l’India, battendo prima di tutto la via delle consonanze mistiche e facendo fiorire quei monasteri-āshram cattolico-induisti legati ai nomi di Henri Le Saux e Jules Monchanin. Ma l’analisi di Mapelli punta soprattutto sul versante strettamente teologico ove la ricerca di un paradigma innovativo rispetto al pensiero religioso tradizionale occidentale ha generato una mappa di percorsi inediti, di scorciatoie, di sentieri impraticabili. Due potrebbero essere le regioni di questo nuovo approccio comparativo. C’è innanzitutto l’impostazione di taglio “esistenziale-politico”. Per usare la formula di Noel Leo Erskine, si tratta di un operazione di decolonizing theology (così s’intitolava un suo saggio del 1998), sostanzialmente sulla scia della teologia della liberazione latino-americana, ma con molte originalità.
Mapelli vaglia la produzione teologica dei vari attori di questo processo ideale, dal gesuita Aloysius Pieris che nel 1988 pubblicò un’emblematica Asian theology of liberation, preparata dalle analisi del teologo indiano Madathilparampil M. Thomas, a un altro gesuita, l’indiano Sebastian Kappen che spesso nei titoli delle sue opere poneva il termine liberation e che aveva già compendiato il suo pensiero in Jesus and Freedom del 1977, uno scritto di netta demitologizzazione di un Cristo indiano, vittima - a suo avviso - di una triplice alienazione: il culto, il dogma e l’istituzione. È facile intuire le possibili derive di questo itinerario fino a una netta ripulsa della “teologia romana” e il tentativo di correre un’avventura oltre la frontiera della dottrina cattolica attestata (emblematico sarà il caso dell’opera Mary and Human Liberation che meritò al teologo sri-lankese Tissa Balasuriya la scomunica, successivamente rientrata sulla base di un nuovo percorso dello stesso autore).
È probabile che su queste forme di teologia indiana abbia esercitato un influsso la particolare visione del cristianesimo elaborata da Gandhi che, in sintesi, proponeva l’ortoprassi (Discorso della Montagna in Matteo, 5-7) come criterio ermeneutico dell’ortodossia. Parlavamo, però, di un altro modello che potremmo definire “religionista”. Si tratta della definizione del rapporto tra cristianesimo e induismo (e altre religioni) nell’ambito della verità e della salvezza. Secondo questa concezione altre realtà della tradizione religiosa hindu (Rama, Krishna, Purusha…) potrebbero esprimere il mistero di Cristo, eccedendo così il perimetro codificato della teologia occidentale, ma anche quello delle stesse radici cristologiche. Pensiamo, a questo proposito, alla complessa e originalissima personalità del teologo, filosofo e scienziato Raimon Panikkar, mentre il gesuita Jacques Dupuis su questo discorso ha offerto da Roma un contribuito di forte spessore ma anche di intenso dibattito critico e di riserve istituzionali.
Sostanzialmente egli individuava due traiettorie per risolvere la questione dell’ apporto salvifico all’interno delle religioni. La prima è quella del fulfilment, ossia del completamento che le altre religioni offrono alla salvezza la quale ha il suo cuore e il suo motore nel cristianesimo (e quindi nel Cristo storico). La seconda, verso cui il teologo belga si orientava, è invece la via della “presenza mistica”di Cristo: i fedeli di altre religioni si salvano rimanendo nel loro Credo in virtù appunto di una presenza mistica di Cristo al loro interno. Non un “cristomonismo” dunque, quanto piuttosto un “cristocentrismo”. Il documento vaticano Dominus Iesus (2000) ha voluto tracciare una sorta di frontiera netta e invalicabile anche riguardo a questo processo teologico che noi abbiamo ora solo abbozzato e che il volume di Mapelli analizza. Lo studioso apre anche lo spazio alle ultime prospettive basate su nuovi referenti come i dalit (i fuori “casta”) che rappresentano il 75 % dei cristiani indiani (altre stime parlano del 65%), gli ādivāsi, cioè gli aborigeni indiani che registrano una forte presenza con un cristianesimo”tribalizzato”, le nuove istanze femministe ed ecologiste (si pensi alla nota fisica ed economista Vandana Shiva). Il rilievo di protagonista che l’India sta acquistando nello scenario mondiale rende allora interessante questo accurato e suggestivo sguardo settoriale che p. Mapelli sa, nella preziosa e limpida “conclusione” del suo saggio, riformulare anche in una vera e propria guida critico-interpretativa di un fenomeno che è al tempo stesso teologico e socio-culturale.
Nicola Mapelli, «L’Assoluto e la Storia», Bulzoni, Roma, pagg. 300.