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Non è una disciplina per vecchi

L’unità della matematica da André Weil a Peter Scholze

di Carlo Maria Polvani

I premi costituti in ossequio alle volontà testamentarie di Alfred Nobel (1833-1896) furono attribuiti per la prima volta nel 1901. Poiché il filantropo svedese non aveva previsto un riconoscimento per la matematica, nacque l’idea di crearne uno alla memoria del norvegese Niels Abel, morto nel 1829 a soli 27 anni, dopo aver portato a termine i lavori di Paolo Ruffini (1765-1822) sulla non risolvibilità generale dell’equazioni di quinto grado. Ma la dissoluzione dell’unione fra la Svezia e la Norvegia nel 1905, rimandò di quasi cent’anni la creazione del Premio Abel, facendo sì che a tutt’oggi, l’onorificenza più ambita per «contributi straordinari in matematica» sia quella nata nel 1936 sotto il nome di Medaglia Fields. La borsa connessa con quest’ultima — rispetto ai 770.000 euro del Premio Abel — è relativamente modesta visto che il matematico ontariano che la concepì, John Charles Fields (1863-1932), previde la somma di 15.000 dollari canadesi, ma il prestigio associato a riceverla è altissimo.

La Medaglia Fields, infatti, è assegnata ogni quattro anni in occasione del Congresso della International Mathematical Union (Imu), a uno, due, tre o al massimo quattro ricercatori che non l’abbiano già ricevuta e, soprattutto, che non abbiano ancora compiuto i quarant’anni anni d’età. Se è pur vero che in matematica più che in altri campi, le grandi scoperte sono compiute in età precoce, tale limite d’età appare alquanto severo. Oltre al sullodato Abel, Isaac Newton e Gottfried Leibniz avrebbero potuto condividersi la Fields, poiché erano anche loro ventenni quando descrissero il calcolo infinitesimale; William Hamilton e Daniel Bernoulli avrebbero incontrato più difficoltà, visto che avevano 38 anni quando, rispettivamente, innovarono il nuovo sistema numerico dei quaternioni e proposero le equazioni per il movimento dei fluidi; ma la trasformata (un’applicazione di fondamentale importanza) di Jean Baptiste Fourier e persino la formula per i poliedri (che conferma che solo cinque di essi, “i solidi di Platone”, sono regolari e convessi) di Leonardo Eulero non avrebbero potuto essere coronate dalla Fields, visto che entrambi i geni avevano 43 anni al momento della pubblicazione dei loro lavori.

Un’ulteriore difficoltà nel vincere la Medaglia Fields proviene dal fatto che — come suggerisce la stessa etimologia sfuggente del sostantivo μάθημα, “quello che s’impara” — non esiste una definizione unanime su cosa sia esattamente la matematica. Per alcuni, ad instar della fisica o della chimica, sarebbe una scienza (anzi la «regina delle scienze», sosteneva Carl Gauss); per altri, invece, un esercizio di deduzione pura (all mathematics is symbol logic, sentenziava Bertrand Russell). Di sicuro, il mondo della matematica di oggi è sconfinato e le miriadi di aeree di ricerca in essa racchiuse si classificano intorno a due grandi aeree: la matematica pura e la matematica applicata. Per la matematica applicata si nota un grado di frammentazione spiccato dovuto per lo più all’uso che le scienze naturali e sociali fanno degli strumenti matematici nel loro campi di applicazione (e.g. i principi matematici utilizzati nei modelli di previsione meteorologica per tener conto della natura caotica dei fenomeni atmosferici sono alquanto diversi da quelli disegnati dalla teoria dei giochi usati per abbozzare delle strategie militari).

Ma una forte frammentazione si nota anche nella matematica pura, tant’è che anch’essa può essere divisa e sotto divisa in moltissimi rami: l’algebra, l’analisi, la teoria dei numeri, la teoria dei gruppi, la trigonometria. Viene quindi spontaneo chiedersi se queste branche siano autonome l’una dall’altra oppure riconducibili l’una all’altra? Per rispondere a questa domanda occorre partire dalla relazione che potrebbe legare i due rami più antichi della matematica: l’aritmetica (che esamina le operazioni basilari sui numeri interi) e la geometria classica (che, rispettando i cinque assiomi di Euclide, studia la natura delle forme).

In proposito, si consideri questo enunciato di problema delle scuole elementari: «La mamma manda Luigino dal droghiere con 20 euro, dicendogli di comprare due saponi di Marsiglia per ogni litro di candeggina; se il sapone costa 2 euro e la candeggina 1 euro, quanti saponi e quante candeggine riporterà Luigino a casa»? Usando l’aritmetica, un alunno noterà che siccome per ogni 2 saponi e 1 candeggina si spendono 5 euro, e siccome 20/5=4, si possono comprare 8 (4x2) saponi e 4 (4x1) candeggine. Ma lo stesso alunno potrebbe usare la geometria: tracciando un rettangolo di 5 centimetri per 4 centimetri e dividendolo in 20 cubetti con il righello, gli basterebbe colorare due cubetti in blu per il sapone e uno in rosso per la candeggina, fino a riempire l’aerea.

Forse, uno scolaro nato a Dredsa nel 1987, di nome Peter Scholze, incominciò così ad appassionarsi alla relazione fra l’aritmetica e la geometria, tanto da diventare a 24 anni il più giovane professore in Germania, proprio per essere riuscito a dimostrare che esiste una relazione fra tali due rami fondamentali della matematica. Per farlo, Scholze ha dovuto sviluppare una teoria così complessa che la maggior parte dei suoi colleghi la trova quasi indecifrabile. In nuce, egli ha dato una struttura diversa ai numeri: al posto di lavorare con i numeri scritti in base 10 (0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 …), gli ha espressi come fattori di numeri primi (quelli che non hanno fattori eccetto 1 e loro stessi: 1, 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17...). Espressi così, i numeri diventano “p-adici” — così li battezzò il loro scopritore Helmut Hasse (1861-1941) — e permettono di effettuare calcoli sorprendenti. Il «New Scientist» nella sua edizione del 25 aprile scorso — Gilead Amit, Theorem of Everything: The Secret that links numbers and shapes, disponibile in traduzione italiana nell’«Internazionale» n. 1259, anno 25) — considera tale sforzo così straordinario che prevede, che all’incontro della Imu che si terrà agli inizi di agosto a Rio de Janeiro, il giovane docente dell’Università di Bonn diventerà il cinquantasettesimo laureato della Medaglia Fields.

A dirla tutta, lo sforzo di Scholze non sarebbe stato coronato da successo se non ci fossero stati eminentissimi precursori ad aprirgli la strada, fra cui uno dei matematici più influenti del xx secolo: il francese André Weil (1906-1998). Accusato di renitenza alla leva, il fratello della filosofa e mistica Simone Weil (1909-1943), fu detenuto nel carcere di Rouen, ma dopo l’armistizio del 22 giugno 1940, raggiunse la zona libera e trovò rifugio negli Stati Uniti. Il carteggio fra Simone e André durante la sua detenzione in Normandia — che la Adelphi ha avuto l’apprezzabile iniziativa di proporre quest’anno nella sua Piccola Biblioteca n. 717 (L’arte della matematica, Milano, 2018, pagine 185, euro 14) — testimonia proprio del desiderio dell’allora matematico trentacinquenne (spronato dell’affettuosa sorella che gli chiedeva di spiegargli «l’interesse e la portata dei suoi lavori») di dimostrare il legame fra l’aritmetica e la geometria a partire dei numeri p-adici. In detto carteggio reso delizioso dalla cultura ecclettica degli scriventi (che spazia dalle citazione poetiche alle traduzioni dei classici greci) si scopre altresì che in André Weil ardeva il desiderio di ridare alle matematiche un senso di unità senza la quale avrebbero rischiato una funesta frammentazione.

Non sappiamo cosa direbbe oggi Weil dei risultati di Scholze, ma se così lo deciderà l’Imu, un matematico tedesco non ancora trentenne potrà leggere sulla Medaglia Fields le parole di Archimede Transiire suum pectus mundoque potiri (“superare i propri limiti per comprendere l’universo”) e… forse si ricorderà quelle di un suo collega francese incarcerato a trentaquattr’anni Dieu existe parce que les mathématiques sont cohérentes, et le diable existe parce que nous ne pouvons pas le prouver (“Dio esiste perché la matematica è coerente; e il diavolo esiste perché non riusciamo a dimostrarlo”) e… speriamo anche si rammenterà quelle della sorella Simone, morta a trentatré anni, che essendosi convertita interiormente ad Assisi nel 1937 e avendo avuto varie esperienze mistiche a Solesme nel 1938, non esitava a elevare le preoccupazioni scientifiche del fratello: «Quanti sono oggi i matematici che considerano la matematica un procedimento atto a purificare l’anima e “imitare Dio”?».

Pubblicato in L'Osservatore Romano, 30/06/2018-01/07/2018.