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Per la protezione dei minori

Un controllo efficace della rete

di Federico Lombardi e Carlo Maria Polvani

Lo scorso ottobre si è tenuto a Roma il primo congresso mondiale sulla dignità dei bambini nel mondo digitale (cfr. «L’Osservatore Romano» del 7 ottobre 2017). È stato promosso dal Centre for Child Protection (guidato dal gesuita Hans Zollner, preside dell’istituto di psicologia della Pontifica università Gregoriana), insieme al Telefono Azzurro (istituzione italiana fondata da Ernesto Caffo) e alla WeProtect Global Alliance, il più globale movimento di protezione dei minori, coordinato da Ernie Allen, che in collaborazione con il governo del Regno Unito e di altre settanta nazioni, si dedica alla prevenzione e alla lotta nei confronti di ogni reato commesso contro i bambini e gli adolescenti.

Tenendo conto del fatto che nelle nuove realtà digitali si annidano pericoli — come il cyberbullying (l’uso intensivo e aggressivo dei social media con il fine di perseguitare e umiliare crudelmente una persona) o la sextortion (l’estorsione di denaro o di favori illeciti per mezzo del ricatto della divulgazione di materiale mediatico sulle attività sessuali) e tanti altri — i lavori del congresso Child Dignity in the Digital World hanno contribuito in maniera significativa e innovativa agli sforzi definiti al paragrafo 16.2 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: «Eliminare l’abuso, lo sfruttamento, il traffico e tutte le forme di violenza e torture verso i bambini».

In tal senso, il documento prodotto dal congresso, conosciuto come Dichiarazione di Roma, ha il merito di mettere in evidenza la necessità impellente di un’innovativa collaborazione fra i governi, i servizi di polizia, il settore privato e gli studiosi, per contrastare efficacemente la proliferazione in rete e nei cosiddetti social media delle tante insidie che stanno mietendo sempre più vittime fra i bambini e gli adolescenti.

Una delle organizzazioni con la più lunga esperienza in materia di abusi sui minori in internet e di collaborazione con le forze dell’ordine nella repressione della pornografia infantile sulla rete, la Internet Watch Foundation (Iwf), ha reso noto nella sua ultima relazione un dato allarmante: più dei due terzi dei siti che propongono materiale pedopornografico, usano il dominio di primo livello .com oppure .net; questi due Top Level Domains — le terminazioni di un indirizzo internet che rendono possibile che esso sia funzionale a mo’ di codice di avviamento postale — sono così comuni da renderli estremante appetibili, rispetto a molti degli altri 1500 domini di primo livello generici molto meno conosciuti (come per esempio .law, .new oppure .eco), alle organizzazioni criminali che lucrano proprio sullo sfruttamento dei minori. Infatti, .com e .net, insieme .org, pensato per enti non commerciali, a .edu previsto per i centri d’insegnamento, a .gov assegnato agli enti governativi e a .mil che rimane a uso esclusivo dei militari, sono quelli di gran lunga più prestigiosi, essendo stati i primi domini di primo livello appaltati più di vent’anni fa dalla Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann), l’organizzazione internazionale con sede in California, che garantisce l’operatività e la stabilità della rete.

Nel 2000, la stessa Icann ha delegato l’assegnazione e il controllo dei siti internet terminanti con .com e con .net alla compagnia statunitense Verisign, anch’essa originaria della California, ma oggi ubicata nei sobborghi di Washington in Virginia. Poiché la Verisign registra ogni anno milioni di siti (e in tal modo contribuisce più di ogni altra compagnia privata alle finanze dell’Icann), non sono state poche le voci che si sono alzate per chiedere che fossero messi in piedi quanto prima dei baluardi efficaci al fine di prevenire la manipolazione e la strumentalizzazione dei suddetti domini di primo livello.

Fra queste voci, vale la pena citare quella dell’avvocatessa specialista di diritti umani Cherie Booth (consorte di Tony Blair, già primo ministro britannico), affinché l’Icann esamini la questione e imponga degli standard di sicurezza molto più alti di quelli finora utilizzati. Per comprendere quanto ciò sia urgente, si pensi che le associazioni di subappalto di domini di primo livello (fra cui .kids, bambini) di importanti nazioni europee non seguono la normativa di verifica sui richiedenti circa eventuali condanne per reati contro i minori.

La strada tracciata dal congresso Child Dignity in the Digital World è quella giusta, anche se non la più facile o la più popolare, appunto perché richiede da quanti operano direttamente o indirettamente nel mondo digitale nuovi sforzi e spesso anche rinunce a maggiori profitti economici. Solo se tutti faranno la loro parte, si potrà riuscire a difendere meglio i minori dai pericoli della rete.

E per riuscirci, bisognerà innanzitutto mettere in pratica le parole pronunciate dal Papa proprio a proposito di questi problemi e della succitata Dichiarazione di Roma: «Dobbiamo avere gli occhi aperti e non nasconderci una verità che è spiacevole e non vorremmo vedere».

Pubblicato in L'Osservatore Romano, 21/09/2018.